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Blog di Antonio Vigilante

31 ottobre, giovedì

"Questa è la scuola", dice la ragazza nigeriana al figlio. Si chiama Destiny, il bambino. Avrà un anno, sta cominciando a parlare, e guarda il mondo con occhi grandi. L'autobus è fermo davanti alla scuola elementare, imbottigliato nel traffico. "Questa è la scuola. Quando ti fai grande tu vai a scuola. La scuola è buona", dice la ragazza nigeriana al figlio.
Cinque minuti dopo sono davanti alla scuola in cui insegno. I ragazzi sono tutti nel piazzale, anche se è tempo di entrare. Non entrano. E' sciopero.
Faccio per entrare. Una delle due porte è sbarrata dalla saracinesca. "Che succede?", chiedo. "Ci buttano le uova". Dentro il fetore di uova marce è insopportabile.
Ci buttano le uova.
La scuola è buona.

L'educazione e la sua ombra

Quando si parla di libertà nell'educazione, di rifiuto di ogni forma di violenza educativa, di rispetto rigoroso della personalità del bambino e dei suoi diritti, capita spesso di sentire la seguente obiezione, soprattutto da parte di genitori: "Tutto ciò è assolutamente condivisibile, ma è solo teoria. La pratica dell'educazione è una cosa diversa. Nessun genitore vorrebbe essere violento con i suoi figli, ma crescere dei figli è difficile, ed a volte capita di dover ricorrere alla violenza". Segue, in genere, la narrazione di qualcuna di queste situazioni estreme, nelle quali sarebbe impossibile seguire i principi di una pedagogia libertaria e nonviolenta.
In genere si tratta di situazioni di due tipi.
La prima situazione è quella di un bambino che si trova in pericolo o che rifiuta qualcosa che per lui è indispensabile. Può essere che il bambino si ostini a fare una cosa che per lui è oggettivamente pericolosa, come attraversare da solo una strada molto trafficata, o che non voglia a nessun costo prendere uno sciroppo che è necessario per la sua salute. Che fare? Non bisognerà rinunciare ai nostri cari principi libertari ed esercitare una qualche pressione, forse anche una violenza? Sarà bene spiegargli perché deve attraversare accompagnato o prendere lo sciroppo, sperando nella sua comprensione. Ma se non comprende, occorre costringerlo senz'altro.

Ancora sui bandi ad personam dell'Università di Foggia

Scambio su Facebook con il Magnifico Rettore Giuliano Volpe.

Giuliano Volpe: Vigilante sta facendo polemiche. Unifg non ha risorse per retribuire contratti di insegnamento. Forse Vigilante ignora che il sistema universitario italiano ha perso un miliardo di finanziamento statale negli ultimi anni? ignora che Unifg riceve 5 milioni in meno ogni anno rispetto al 2008-9? Ho cercato di spiegare questa situazione difficilissima in questi anni, ma evidentemente non basta. La legge Gelmini inoltre impone un limite del 5% di insegnamenti a contratto a titolo gratuito. Nel caso dei corsi di area umanistica si tratta di 2-3 contratti gratuiti (uno di questi ad esempio è tenuto dalla ex preside e professore emerito Franca Pinto Minerva). L'unica maniera per avvalerci dell'apporto gratuito di docenti esterni è grazie a convenzioni con Enti pubblici, tra cui scuole secondarie, musei, soprintendenze. Per fortuna ci sono colleghi di queste istituzioni, ovviamente dotati di titoli scientifici adeguati, che offrono gratuitamente e generosamente il loro apporto. So bene che è ingiusto non retribuire il lavoro e in particolare il lavoro intellettuale di docenti. Ma non ci sono le risorse! L'alternativa sarebbe chiudere corsi, ridurre ulteriormente l'offerta formativa, mettere in difficoltà i nostri studenti. Dov'è lo scandalo? dove l'ingiustizia? dove il nepotismo? Avevamo rapporti di collaborazione con vari docenti e con molte scuole, in alcuni casi da anni: abbiamo regolarizzato questi rapporti attraverso convenzioni, secondo quanto previsto dalla legge 240 'Gelmini'. Annualmente si pubblica un bando relativo alle discipline 'scoperte' per le quali è necessario rivolgersi all'esterno; i docenti della scuola che si è dichiarata disponibile alla collaborazione e hanno sottoscritto una collaborazione possono presentare domanda di insegnamento. In tal modo sostengono l'Università e la sua offerta formativa, la scuola e i docenti dimostrano di collaborare con una Università.

Gli strani bandi dell'università di Foggia

Giuliano Volpe
Facciamo che tu sei un filologo. Un filologo bravo, non uno così così. Uno che ha letto un sacco di libri e ne ha scritti una decina. Libri importanti, adottati all'università. Mettiamo che l'università della città in cui vivi bandisce un posto da docente a contratto per l'insegnamento di filologia. Che bello, pensi. Cioè: si tratta di lavorare gratis - si sa che i docenti a contratto lavorano gratis o per due soldi -, ma puoi insegnare le cose che sai, ed insegnare è bello. Poi però leggi il bando e non credi ai tuoi occhi. Anche se hai scritto una decina di libri, non puoi partecipare, perché il bando è riservato ad un gruppo estremamente ristretto di persone: i docenti di un liceo della provincia.
Sembra l'inizio di un racconto surreale, ed invece è quello che accade all'università di Foggia. La quale ha bisogno di docenti di filologia, di storia del cinema e di informatica per la letteratura, ma non li cerca, come sarebbe logico, tra gli studiosi di queste discipline, ma, rispettivamente, tra i docenti del liceo "Roncalli" di Manfredonia, del liceo "Majorana" di Guidonia e dell'istituto "Don Milani" di Acquaviva delle Fonti.
Una cosa così singolare non ha che due possibili spiegazioni. La prima è che all'università di Foggia sono semplicemente impazziti. Non occorre essere particolarmente perspicaci per capire che più è ampio il numero di persone che partecipano ad una selezione, più è facile selezionare persone che valgono. L'università di Foggia invece va a cercare i suoi docenti in tre sole scuole secondarie, escludendo dalla selezione tutti quelli che insegnano in altre scuole, o non insegnano, o collaborano con l'università. Persone cui viene negato il diritto di partecipare ad una selezione pubblica.

Figure dell'amicizia educativa

Ceramica di Duride
L'antichità greca e romana ci offre con la figura del pedagogo una icona dell'educatore come amico. Il pedagogo non è il maestro (in greco didaskalos), ma colui che accompagna dal maestro il bambino e poi il ragazzo. Del maestro non ha l'autorevolezza, anche perché il pedagogo è uno schiavo, e spesso nemmeno parla bene la lingua, essendo straniero (ed a Roma è lui a diffondere la conoscenza della lingua greca); si tratta tuttavia di una presenza fondamentale per la crescita dei giovani (e il suo condurre il bambino darà il nome alla disciplina che studia l'educazione). Dopo aver accompagnato il giovane dal maestro, si siede con lui ed ascolta la lezione. Una volta a casa il pedagogo - che viene rappresentato per lo più come un vecchio calvo: non a caso lo stesso aspetto del maieuta Socrate - aiuta il giovane a ripetere la lezione che ha ascoltato presso il maestro. Vi sono dunque due lezioni: quella del maestro, ossia di un insegnante autorevole ed autoritario, che può ricorrere e ricorre di fatto anche alla sferza per insegnare, e la lezione domestica del pedagogo. Non escludo che anche quest'ultimo, in un contesto nel quale l'educazione è ampiamente fondata sulla coercizione, usasse qualche volta la sferza, ma la sua condizione di schiavo riduce ampiamente le sue possibilità in questo campo. L'eventuale durezza non cambia la natura della relazione, che consisteva in uno stare-accanto, e non in uno stare-sopra. Anche quando è costretto ad imporsi (tra l'altro spetta a lui insegnare le buone maniere), il pedagogo resta un compagno di strada, uno che guida camminando insieme, ascoltando, consigliando, spesso perorando la causa del giovane presso i genitori, preoccupandosi costantemente del suo bene.

Don Milani, Gramsci e i bisogni educativi speciali

Antonio Gramsci a quindici anni
Negli anni Sessanta uno degli studenti della scuola di Barbiana venne bocciato all´esame presso la scuola statale. Don Lorenzo Milani ne ragionò con i ragazzi della sua scuola, e ne venne fuori quel durissimo atto d´accusa che è la Lettera a una professoressa. Oggi le cose sarebbero andate diversamente. In quanto contadini e montanari, gli studenti di Barbiana sarebbero stati considerati studenti con bisogni educativi speciali (la direttiva ministeriale sui bisogni educativi speciali del 27 dicembre 2012 ricomprende in questa categoria anche lo svantaggio "socio-economico, linguistico, culturale"); si sarebbe fatto per loro un piano educativo personalizzato, e con ogni probabilità sarebbero stati promossi.
Don Milani ne sarebbe stato contento? Per nulla. Anzi: si sarebbe indignato come solo lui sapeva fare. Perché il centro del discorso della Lettera non è, come molti che l´hanno letta distrattamente o che non l´hanno letta affatto credono, la richiesta di non bocciare. C´è anche questo, nel libro; ma c´è soprattutto la denuncia del carattere esclusivamente - nel senso etimologico: che esclude - borghese della cultura scolastica. La scuola è quel posto in cui il ragazzino figlio di contadini, abituato a salire sugli alberi, deve saper giocare a basket. La capacità di salire sugli alberi non conta nulla, non è una cosa borghese e non ha dunque nulla a che fare con la scuola. Il gioco della scuola è truccato: è un campo sul quale giocano borghesi e proletari, ma le regole sono quelle decise dai borghesi. E i proletari, inevitabilmente, perdono. Non perché siano meno capaci, non perché siano idioti: semplicemente perché la cultura scolastica non è la loro cultura.

La palude

Questa mattina con le mie classi - la quarta e la quinta - ho incontrato Francesca Brancati, ex studentessa della mia scuola ed attivista per i diritti LGBT (di lei si sono occupati negli ultimi giorni i giornali per una lettera con la quale ha chiesto pubblicamente alla Barilla di sponsorizzare il suo matrimonio con la sua compagna, quale riparazione per le infelici dichiarazioni di Guido Barilla sulla inopportunità di mostrare una famiglia omosessuale negli spot pubblicitari della sua azienda).
Abbiamo discusso per due ore in quarta, fino alla fine della giornata scolastica: ed i ragazzi hanno mostrato l'interesse che sempre c'è, a scuola, quando non si tratta di girare stancamente intorno al manuale, in vista dell'interrogazione.