Georges Lapassade, ancora
Tra i pochi libri che portavo idealmente con me, il giorno in cui per la prima volta ho messo piede in un'aula scolastica, c'era L'analisi istituzionale di Georges Lapassade. Avevo incontrato le idee e la prassi di Lapassade durante uno dei lavori tentati alla ricerca di una mia via: pedagogista in una cooperativa educativa. Una cooperativa che era seguita da Lapassade e ne adoperava il metodo dell'autogestione: ragazzini anche molto piccoli (di quelli che si definiscono difficili) erano chiamati alla gestione condivisa della comunità educativa. La prima volta che misi piede come docente in un'aula scolastica lo feci con quel modello educativo, e ben presto sperimentai quanto l'istituzione scolastica sia chiusa non tanto alla sperimentazione in sé, quanto a sperimentazioni che ne mettano in discussione realmente, e non solo retoricamente, i rapporti di potere.
Quant'è falso (e pericoloso) Dio
Superati i settant'anni Sergio Givone, che conosciamo come uno dei massimi filosofi italiani, s'accorge d'aver sbagliato mestiere e ci consegna un'enciclica: Quant'è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione (Solferino, Milano 2018). Il titolo è azzeccato, e davvero rincresce che non sia venuto in mente a qualcuno degli ultimi papi, ai quali non si può rimproverare, tuttavia, di non aver pensato quello che si trova oltre il frontespizio. La tesi è semplice semplice, ed è tutta nel sottotitolo: non possiamo fare a meno della religione, perché se neghiamo Dio finiamo per negare anche l'uomo. Sì, Dostoevskij: se Dio non esiste, tutto è permesso. Poiché centottanta pagine bisogna pur riempirle, Givone aggiunge Berdiaev, Pareyson. Agamben e perfino un po' di Habermas. Fosse stato più audace, avrebbe aggiunto anche un Ferdinando Tartaglia, e il discorso forse sarebbe diventato più interessante. Così com'è, non è che una stanca, piatta, inutile variazione su uno dei temi più stantii della pubblicistica cattolica degli ultimi decenni.
Primo compito d'un filosofo dovrebbe essere il rigore: rigore nell'argomentazione, rigore nella definizione dei termini. Che cosa vuol dire che non possiamo fare a meno della religione? Noi chi? Noi esseri umani, noi europei? E cos'è la religione? E cos'è Dio? Quale Dio? Non uno di questi concetti è scontato. Esistono religioni senza Dio, come il buddhismo. Givone sostiene che dopo duemila e cinquecento anni i buddhisti non possono, ora, fare a meno di Dio? Ma lo stesso buddhismo è poi una religione? Il concetto indiano di dharma solo molto approssimativamente può essere ricondotto a quello occidentale di religione. Di cosa abbiamo allora bisogno?
Poesia della natura offesa
Seduto su un colle, il poeta si abbandona a considerazioni sull'infinito contemplando una siepe, oppure interroga la luna, che si staglia in un cielo intatto. Ma che accade se, dando uno sguardo alla siepe, vi trova impigliato un sacchetto di plastica, oppure al di là di essa scorge una discarica? Che accade se il suo solitario colloquio con la luna è disturbato dal passaggio di un volo di linea? Non ha che due possibilità. Può fingere di non vedere, rattristandosi magari per la sfortuna di essere nato in tempi in cui la pura contemplazione della natura e del paesaggio è contrastata da elementi cosi prosaici e antiestetici, oppure può fare poesia della siepe e del sacchetto di plastica, della luna e dell'aereo. E questo realismo poetico - perché dire il reale oggi significa dire la discarica non meno del bosco - può prendere provocatoriamente la direzione della ricerca di una nuova bellezza, che nasca dall'incontro della siepe con il sacchetto di plastica (si pensi alla scena del sacchetto di plastica, appunto, nel film American Beauty di Sam Mendes) oppure farsi strumento di denuncia e di cambiamento.
La caccia è un pericolo per tutti
Nel pomeriggio c'è stato un acquazzone, ora è tornato il sole. E sono tornate le fucilate.
Mentre loro sparano, io rifletto un po'. Lascio da parte ogni considerazione sugli animali. Credo che gli animali abbiano diritto alla vita, e che ucciderli per divertimento sia un atroce insulto alla vita, ma non è di questo che voglio parlare ora. Mi interrogo sul rischio che la caccia rappresenta per le persone e sulle contraddizioni singolari di questo paese. Non è difficile trovare dati sulla pericolosità della caccia. L'ultima stagione venatoria ha fatto 84 feriti e 30 morti. Dei morti, dieci erano persone estranee alla caccia. Dieci persone che hanno perso la vita perché altre persone volevano divertirsi andando in giro a sparare. Tra i morti c'è anche un minore. Ed è il dato sui minori il più agghiacciante: tra il 2007 e il 20015 sono stati uccisi dai cacciatori undici minori. Undici. Undici vite di bambini e adolescenti stroncate.
Cosa dovrebbe dire un ministro dell'istruzione (e cosa non dirà)
Credevamo che, per qualche accordo interno al governo, il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti avesse delegato (non diversamente dal premier Conte) le sue funzioni al ministro dell'Interno, dal quale sono venute, negli ultimi tempi, precise e preziose indicazioni pedagogiche, che vanno dal prendere a sberle i ragazzi al mandarli in caserma per farsi educare dai soldati. Ci sbagliavamo, perché Bussetti qualche idea l'ha. E la comunica al Corriere della Sera. Ecco: "Dobbiamo cambiare impostazione della didattica; usare le nuove tecnologie, insegnare a relazionarsi con i social media, valorizzare il public speaking e il debate, puntare sulle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica). Il tablet sarà il nuovo quaderno tra pochi anni, possiamo usare meglio investimenti fatti."
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