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Blog di Antonio Vigilante

L'altro Gandhi


Il 30 gennaio del 1940 - settant'anni fa - Mohandas Karamchand Gandhi veniva ucciso dal suo ex-seguace Nathuram Godse. E' uno dei pochissimi leader politici del Novecento in grado di essere ancora oggi punto di riferimento e fonte di ispirazione per molti; una figura che incarna al tempo stesso l'uomo buono ed il rivoluzionario, l'ascesi e l'impegno, la felice contaminazione di etica e politica. Naturalmente, dietro ogni icona c'è un uomo che le assomiglia solo in parte. E svelare le contraddizioni dell'uomo Gandhi è un gioco facile: lo fa, buon ultimo, Pramod Kapoor nel suo Gandhi. La biografia illustrata (Mondadori Electa). Meno frequente è che qualcuno sveli, invece, le contraddizioni teoriche di Gandhi, i problemi aperti del suo pensiero, e magari anche le cose inaccettabili. Nel nostro paese gli studi su Gandhi sono pochissimi, e quei pochi spesso non sono fondati su una conoscenza adeguata del contesto indiano. Nella raccolta più diffusa di scritti gandhiani - Teoria e pratica della nonviolenza, curato da Giuliano Pontana per Einaudi - Gandhi appare come un pensatore che affronta i temi politici e sociali partendo dal riconoscimento del valore dell'individuo, ed assegnando "grande valore allo spirito critico, all'autonomia di giudizio e conseguentemente al rifiuto di ogni autorità che non sia quella della ragione e di quella che egli chiama 'la voce interiore' (the inner voice)" (p. LXXXI). E' una interpretazione rassicurante, che fa di Gandhi un nostro prossimo, ma che ignora la differenza gandhiana.

Anmar

Qualche mese fa, un po’ per gioco e un po’ per noia, come si dice, ho cominciato a progettare un sistema di scrittura personale, che avesse il vantaggio della velocità e praticità, per prendere appunti in modo più efficace e al tempo stesso renderli incomprensibili agli altri (per quanto, come mi ha fatto notare più di uno, la mia grafia sia di per sé quasi illeggibile). Dopo diversi tentativi venne fuori un sistema abbastanza efficiente, ma poco elegante. E poiché per me l’eleganza è importante, l’ho limato gradualmente, fino a giungere ad una scrittura totalmente diversa: meno pratica, ma molto meno brutta. Il risultato si chiama Anmar, che viene da Antonio-Martina. Martina è mia nipote, ed è l’unica persona cui lo abbia insegnato; il nome è stato scelto da lei. Al momento serve per i miei appunti, per il mio diario e per la nostra corrispondenza Siena-Foggia.
Eccolo:


La vita oltre la morte

C'è vita dopo la morte?, mi chiedi.
Certo. Quando tu sarai morto, tutto continuerà ad andare esattamente come prima: ci saranno fiori in primavera e neve d'inverno, si costruiranno ponti e muri, si verseranno molte lacrime e ci saranno molte risate.
Ma io non ci sarò, non sarà la mia vita, dici.
Esatto. Non sarà la tua vita: ma sarà vita. La vita oltre la tua vita. La vita oltre te. E tu vincerai la morte, se vivrai fin da adesso in quella vita che non è la tua vita. In quella vita che non è te.

Rumi, lo Zen e il lupo

Un leone, un lupo e una volpe vanno a caccia insieme. Catturano e uccidono un bue, una capra e una lepre. Al momento di dividersi le prede, il leone chiede al lupo di attribuire a ciascuno la sua parte. Il lupo attribuisce al leone il bue, poiché è più grande, a sé stesso la capra e alla volpe la lepre. Ma il leone non è d'accordo: e sbrana il lupo.
A questo punto del racconto Jalal alDin  Rumi - stiamo parlando del Mathnawi - introduce una delle sue frequenti, deliziose digressioni. Eccola:

آن یکی آمد در یاری بزد ** گفت یارش کیستی ای معتمد
گفت من، گفتش برو هنگام نیست ** بر چنین خوانی مقام خام نیست‌‌
خام را جز آتش هجر و فراق ** کی پزد کی وا رهاند از نفاق‌‌
رفت آن مسکین و سالی در سفر ** در فراق دوست سوزید از شر
پخته گشت آن سوخته پس باز گشت ** باز گرد خانه‌‌ی همباز گشت‌‌
حلقه زد بر در به صد ترس و ادب ** تا بنجهد بی‌‌ادب لفظی ز لب‌‌
بانگ زد یارش که بر در کیست آن ** گفت بر درهم تویی ای دلستان‌‌
گفت اکنون چون منی ای من در آ ** نیست گنجایی دو من را در سرا

Uno andò a bussare alla porta di un amico. L'amico chiese: "Chi sei; sei degno di fiducia?"
Egli rispose: "Io". L'amico disse: "Vattene; non è il momento di entrare: ad una mensa come questa non c'è posto per una persona immatura."
Chi cuocerà ciò che è crudo, se non il fuoco dell'assenza e della separazione? Chi lo libererà dall'ipocrisia?
Il pover'uomo se ne andò, e durante un anno di viaggio e di separazione dal suo amico, fu arso dalle fiamme.
Bruciato, si consumò; allora ritornò e ricominciò a camminare avanti e indietro davanti alla casa del suo compagno. Bussò alla porta con infinito timore e rispetto, temendo di lasciarsi sfuggire dalle labbra una parola irrispettosa.
Il suo amico gli chiese: "Chi è alla porta?" "Sei tu, alla porta, ammaliatore di cuori."
"Adesso - disse l'amico - poiché tu sei me, entra, tu che sei me stesso; nella casa non c'è posto per due 'io'". [Jalal alDin Rumi, Mathnawi, libro I, 3070, traduzione di Ganbriele Mandel Khan, Bompiani, Milano 2016, pp. 305-306. Testo farsi qui.]

Tirana città aperta

Ho passato il Natale e Santo Stefano a Roma - giusto il tempo di visitare la mostra su Bernini alla Galleria Borghese e quella, bellissima, su Hokusai all'Ara Pacis e di bere una birra al Blackmarket di Monti - ed il capodanno a Tirana. Mancavo dall'Albania da quattro anni. Se Roma mi è sembrata una città in decadenza (non l'avevo mai vista così sporca), mi ha sorpreso il cambiamento di Tirana. Quattro anni fa scrivevo
E', diresti, una donna che veste abiti lussuosi su una biancheria che ha troppi segni d'usura. E' la metafora che ti viene in mente quando osservi i tavolini all'aperto degli infiniti locali del centro - elegantissimi, tutti dotati di connessione wifi gratuita - e, alzando appena lo sguardo, constati che sono sovrastati da palazzi fatiscenti, con i mattoni a vista ed un groviglio di cavi elettrici e telefonici. Se la povertà continua a mordere, la ricchezza è comunque a un passo...
Oggi il contrasto tra gli abiti lussuosi e la biancheria usurata è diminuito in modo impressionante, se si considera che sono passati solo quattro anni. Sono quasi scomparsi dal centro, ad esempio, i grovigli di cavi elettrici e telefonici che attraversavano le strade e davano un senso di degrado che la magnificenza dei locali non riusciva a vincere del tutto, e sono cambiati perfino i font e la grafica della insegne dei negozi. Quell'aria di diffuso ottimismo, che notavo quattro anni fa, ora è ancora più tangibile. Non sembra essere solo il progresso, naturalmente discutibile, del capitalismo, con i suoi mastodontici centri commerciali, né solo l'occidentalizzazione inarrestabile che porta in una piazza Scanderbeg irriconoscibile dopo i lavori di rifacimento un enorme albero di Natale ed una suggestiva stella all'ingresso del bulevardi Zogu I: