Ramakrishna e il medico
![]() |
Ramakrishna |
Nell’ottobre del 1885 Ramakrishna è a letto, tormentato (per quanto può esserlo un santo, s’intende) dalla malattia – un cancro alla gola – che l’anno seguente lo condurrà alla morte. Circondato dalle premure dei discepoli, è affidato alle cure del dottor Mahendralal Sarkar, un luminare dell’omeopatia fondatore della Indian Association for the Cultivation of Science. Il medico non riesce a nascondere un certo fastidio per l’adorazione che i suoi discepoli hanno per Ramakrishna. Rivolto a uno di loro, afferma: “Fate qualsiasi cosa, ma vi prego di non adorarLo come Dio. Facendo così, voi state semplicemente rovinando questo sant’uomo!”. Ed al discepolo che risponde che no, per lui è impossibile non adorare chi gli ha permesso di sfuggire allo scetticismo, replica:
Io sostengo che tutti gli uomini sono uguali. Una volta ci portarono da curare il figlio di un droghiere. Le sue budella evacuavano. Tutti si tapparono il naso con la parte terminale dei loro vestiti, ma io non lo feci. Sedetti con il bambino per mezz’ora. Non metto la pezza al naso neanche quando lo spazzino mi passa vicino con le ceste sulla testa. No, questo per me è impossibile. Lo spazzino non è affatto meno umano di quanto non lo sia io; perché dovrei guardarlo dall’alto in basso? Per quanto riguarda questo sant’uomo, pensate che io possa salutare e baciare la polvere dei suoi piedi? Guardate. (Il dottore saluta e bacia la polvere dei piedi del Maestro). (1)
Sembra che pensiate che salutare i piedi di una persona sia qualcosa di meraviglioso! Non capite che io posso fare la stessa cosa a tutti. (A una persona sedutagli civino) Ora, signore, permettetemi di salutare i vostri piedi. (A un altro) Ed ora a voi, signore. (A un terzo) E a voi, signore. (Il dottore saluta i piedi di molti). (3)
(2) Ivi, p. 222.
(3) Ivi, p. 228.
(4) Ivi, p. 193.
Ramakrishna e il medico
![]() |
Ramakrishna |
Io sostengo che tutti gli uomini sono uguali. Una volta ci portarono da curare il figlio di un droghiere. Le sue budella evacuavano. Tutti si tapparono il naso con la parte terminale dei loro vestiti, ma io non lo feci. Sedetti con il bambino per mezz'ora. Non metto la pezza al naso neanche quando lo spazzino mi passa vicino con le ceste sulla testa. No, questo per me è impossibile. Lo spazzino non è affatto meno umano di quanto non lo sia io; perché dovrei guardarlo dall'alto in basso? Per quanto riguarda questo sant'uomo, pensate che io possa salutare e baciare la polvere dei suoi piedi? Guardate. (Il dottore saluta e bacia la polvere dei piedi del Maestro). (1)
Democrazia, educazione e dominio degli adulti
![]() |
Philippe Meirieu |
In un libro dal titolo militante – Pédagogie: le devoir de résister (Esf, Issy-les-Moulineaux 2007) – Philippe Meirieu, una delle voci più ascoltate della pedagogie francese, sostiene, sulla scorta di Hannah Arendt, che occorre segnare un confine netto tra infanzia ed età adulta: l’educazione riguarda solo i bambini, non gli adulti; “non si possono educare gli adulti, né trattare i bambini come dei grandi. (…) All’educazione, nella misura in cui si distingue dal fatto di apprendere, bisogna che si possa assegnare un termine” (Arendt, citata a p. 71). Le ragioni di questa separazione sono in ultima analisi politiche: nei totalitarismi gli adulti sono infantilizzati e sottomessi ad un’autorità. Commenta Meirieu:
Da questo punto di vista, la separazione di cui parla Hannah Arendt è fondatrice della possibilità stessa di ogni democrazia: bisogna istituire una frontiera – anche arbitraria – tra i bambini e gli adulti. E’ l’esistenza di questa frontiera che permette al tempo stesso l’educazione dei bambini e l’esercizio del potere dei cittadini. Il bambino deve dunque essere educato e, durante questo tempo, non può essere considerato un cittadino, a rischio di cadere in una confusione generatrice di gravi abusi. L’adulto, dal suo canto, se può continuare ad apprendere, non può essere educato: è lui che deve decidere cosa apprendere, deve scegliere la propria via e decidere, direttamente o con l’intermediazione dei suoi rappresentanti eletti, sulle leggi che reggono la città. (p. 72)
Democrazia, educazione e dominio degli adulti
![]() |
Philippe Meirieu |
Da questo punto di vista, la separazione di cui parla Hannah Arendt è fondatrice della possibilità stessa di ogni democrazia: bisogna istituire una frontiera - anche arbitraria - tra i bambini e gli adulti. E' l'esistenza di questa frontiera che permette al tempo stesso l'educazione dei bambini e l'esercizio del potere dei cittadini. Il bambino deve dunque essere educato e, durante questo tempo, non può essere considerato un cittadino, a rischio di cadere in una confusione generatrice di gravi abusi. L'adulto, dal suo canto, se può continuare ad apprendere, non può essere educato: è lui che deve decidere cosa apprendere, deve scegliere la propria via e decidere, direttamente o con l'intermediazione dei suoi rappresentanti eletti, sulle leggi che reggono la città. (p. 72)
24 gennaio, giovedì
Ha mangiato ma non le basta, gira inquieta alla ricerca di cibo, mi fissa con un’aria mesta quando mangio, in attesa di un boccone pietoso. Pare che sia l’esser stati randagi, l’aver girovagato per anni, e ora trovi da mangiare ora no, e quando trovi non fermarti ma mangia anche per quando non ce n’è, e cerca sempre, cerca perché può essere che per molto tempo non si trovi nulla – pare che l’esser stati randagi non sia revocabile. Si resta randagi per sempre, con una fame che non si estingue, che brucia e brucia e brucia.
E’ così che vivono molti. Randagi, un tempo; ora hanno una casa e un affetto, ma restano affamati, alla ricerca di un boccone, di qualcosa che quieti la voragine di dentro, ed ogni boccone è insufficiente, ogni sorriso diventa presto pianto, ogni gioia si converte in dolore, e scorre nelle vene come acido.
24 gennaio, giovedì
E' così che vivono molti. Randagi, un tempo; ora hanno una casa e un affetto, ma restano affamati, alla ricerca di un boccone, di qualcosa che quieti la voragine di dentro, ed ogni boccone è insufficiente, ogni sorriso diventa presto pianto, ogni gioia si converte in dolore, e scorre nelle vene come acido.
Educazione Democratica, numero 5
![]() |
La copertina |
In questo numero un dossier su Dewey: educazione e bene comune, curato da Alain Goussot, con saggi dello stesso Goussot, di Luciana Bellatalla, Rosa M. Calcaterra e Fabio P. Mancini.
6 gennaio: epifania
Stavo salendo su una strada di montagna. Non le Alpi, nemmeno l’Appennino. Una di quelle strade del nostro Gargano, che salgono attorcigliandosi intorno al monte. Man mano che procedevo il panorama si allargava: e respiravo. Ad un certo punto – per una di quelle incoerenze senza le quali i sogni non sarebbero sogni – mi sono trovato ad attraversare un lembo di mare, l’impidissimo tra le rocce. Ho tolto le scarpe per procedere nell’acqua. Ma le scarpe mi si sono immediatamente riempite di granchi. Ne toglievo uno, e subito ne spuntava un altro. Ho capito presto che avrei combattuto all’infinito la mia battaglia contro i granchi: e che non sarei andato oltre.
Mi sono svegliato. La stanza era buia. Sentivo respirare. Ho pensato che fosse mia sorella. Quando ero ragazzino io e i miei fratelli dormivamo in cucina: io e mio fratello in un letto a castello, mia sorella in un letto singolo, oltre il tavolo della cucina. Sono qui, mi sono detto; qui a casa dei miei, con i miei fratelli. L’incoscienza del risveglio, in quell’attimo in cui ancora non è stato caricato il programma dell’io. Un attimo, appunto. Poi sono diventato quel che sono: un uomo che ha appena compiuto quarantun’anni.
Questo sbalzo temporale mi ha lasciato una sensazione difficile da definire, confusa, impastata di molte cose, tra le quali la nota rilevante era una certa amarezza.
Io non credo nel pensiero, e non credo nei nomi. Quando pensiamo siamo alla superficie di noi stessi, nello sforzo – inutile? – di renderci intellegibili agli altri. Quel che siamo è al di là dei nomi e del pensiero. Siamo come uno gettato in mare, che fa grandi sforzi per restare a galla, ma presto viene sommerso dai flutti e va a fondo. Cerchiamo di tenerci a galla afferrandoci ai nomi ed ai concetti, ma quello che siamo è un fiume senza forma, nel quale costantemente siamo sommersi.
C’era questo, dunque: io non io, quarantenne di quindici anni, nel mio letto di morte. Io non sono quello, ma non sono nemmeno questo. E: io sono questo, e quello. तत्त्वमसि. Io qui, nella forbice del non essere, del non qui. Tra la nascita e la morte. La non nascita e la non morte.
Nessun commento :
Posta un commento