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Blog di Antonio Vigilante

Danilo Dolci, quindici anni dopo

Danilo Dolci
Quindici anni fa, il 30 dicembre 1997, moriva Danilo Dolci. Il telegiornale della Rai ne diede notizia in modo sbrigativo; del resto, da molti anni ormai Danilo aveva smesso di interessare i giornali: da quando - alla fine degli anni Sessanta - aveva abbandonato la pratica dei digiuni e si era concentrato sul lavoro educativo. 
Devo ammettere che non avevo, allora, un interesse particolare per Danilo. Cominciavo a leggere e studiare invece Aldo Capitini, su cui due anni dopo avrei pubblicato il mio primo libro. Mi interessava di più, Capitini, per la sua singolare religiosità, in qualche modo eretica: ed io sono stato sempre attratto dagli eretici. Cinque anni dopo avrei fatto una lunga chiacchierata su Capitini e Dolci con Pietro Pinna, che è stato collaboratore prezioso sia dell'uno che dell'altro. Mi servì, quella chiacchierata, a demitizzare Dolci, mi restituì con una certa crudezza la sua umanità piena di contraddizioni. Contraddizioni così forti che sulle prime mi allontanarono da lui. Mi ci è voluto del tempo per riscoprire la sua grandezza, che i suoi limiti umani e le sue contraddizioni non valgono a diminuire. Fino alla decisione di prendermi del tempo per studiarlo a fondo.

Sulla soglia

Sulla soglia del nome e della forma
s'affanna intorno al mondo con stupore
aperto al cielo che gli passa dentro
vaso che non trattiene e si spaura
e si chiede cos'è quest'altra vita:
il mio-me che si spacca e va perdendo
ogni residua stella e nella notte
non ha confine traccia o segnatura:
solo sta nella vita, e tutto è nuovo.

Ma insomma, cos'ha questo Comenio che non va?

B: Ma insomma, cos'ha questo Comenio che non va? A me sembra un grande precursore. Afferma la coeducazione di ricchi e poveri, di maschi e femmine. Nemmeno Rousseau si spingerà fino a tanto. Non è forse un bene che tutti abbiano accesso all'istruzione?
A: E' estremamente difficile per noi non riconoscere la grandezza di Comenio appunto per il fatto che lui è un grande precursore. Siamo in una società che afferma la necessità per tutti di passare attraverso la scuola per diventare pienamente umani; siamo stati educati a pensarla così, e non riusciamo a pensare diversamente.
B: Preferiresti una società in cui soltanto ad alcuni fosse concesso l'accesso alla cultura?
A: Il problema è questo: cosa è cultura? Comenio è un critico rigoroso della scuola del suo tempo; con qualche sconcerto, leggendolo ti rendo conto che molti dei punti della sua critica sono ugualmente validi per la scuola di oggi. Vuole una scuola di cose, non di parole; una scuola di esperienze, non di libri. Questo me lo rende simpatico. Ma chi è Comenio? Un intellettuale. Uno, cioè, che rappresenta uno delle tante possibili modalità in cui può esistere un essere umano. Si può essere intellettuali, agricoltori, artigiani, giardinieri e così via. Per Comenio e grazie a Comenio, l'intellettuale diventa l'essere umano per eccellenza; la sua cultura - la cultura scritta - l'unica valida.

Comenio e la religione della scuola

Comenio
Se si cercano le radici della religione della scuola, bisogna rileggere la Didactica Magna di Comenio, opera che ha una importanza centrale nella nascita della pedagogia moderna.
Il ragionamento di Comenio è talmente semplice e lineare, che può essere distinto in punti.

Primo punto: "L'uomo, per divenire uomo, ha bisogno di essere educato" (è questo il titolo di un paragrafo della Didactica Magna). Per argomentare questo assunto Comenio evoca il caso di un bambino di tre anni disperso nei boschi, predecessore del più noto fanciullo selvaggio dell'Aveyron che Jean Marc Itard cercherà di educare nella Francia dell'Ottocento. Anni dopo, racconta Comenio, fu ritrovato: era uno strano lupo di aspetto umano; solo dopo l'intervento dell'educazione riacquistò la posizione eretta ed imparò a parlare e ragionare. Dunque: ove manchi l'educazione, un bambino non acquisisce nemmeno le caratteristiche comuni della sua specie, come il linguaggio o la stazione eretta. E' difficile contestare questo punto. L'uomo è, per essenza, un essere che necessita di educazione. Il problema è quale educazione.

Secondo punto: Per educare i figli non bastano i genitori, perché sono pochi coloro che hanno abbastanza tempo per occuparsi dell'educazione dei loro figli; per questo "con singolare avvedutezza si è introdotto da tempo il costume di affidare i figli a molte persone elette, segnalate per sapere e moralità, affinché li istruiscano" (Comenio, Didactica Magna e Pansophia, La Nuova Italia, Firenze 1952, p. 31).

Cogestione!

Quella che termina oggi è stata, per la mia scuola, la settimana della cogestione.
Lunedì gli studenti hanno occupato - letteralmente: spintonando i bidelli e facendosi strada con la forza del numero - la palestra, dove si sono messi a sedere a terra ed hanno cominciato ossessivamente a cantare in coro: "Autogestione... oooohhh autogestione".
La parola autogestione nella mia scuola è di quelle che al solo pronunciarle suscitano brividi. Qualche anno fa il preside ha concesso l'autogestione (sì, è un ossimoro), ed è andata così: alcune ragazze hanno chiuso in bagno una loro compagna, che essendo figlia di un carabiniere ha chiamato il padre; ne è seguita una denuncia per sequestro di persona, con la notizia in bella evidenza sui giornali locali. Peggio ancora è finito un gioco che rientrava tra le attività autogestite, una sorta di posta del cuore: una ragazza ha avuto la bella idea di rivelare ad un'altra la sua relazione col suo fidanzato. Il quale fidanzato è venuto a scuola inferocito ed ha tentato, chissà perché, di picchiare il preside.

Una morale miope


Nel Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace si legge:
Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.
Difficile dargli torto: fondamentalismo e fanatismo sono nemici della pace. Il problema è che il fondamentalismo ed il fanatismo sono sempre quelli degli altri. Più avanti, nel discorso, c'è il seguente passo:

Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.
Il papa dice, dunque, che chinque non sia credente non può essere operatore di pace; nessuno che sia chiuso alla Trascendenza può vincere l'egoismo, la violenza eccetera. Tradotto in linguaggio corrente: tutti quelli che non sono credenti sono condannati ad essere cattivi. E cos'è questo, se non fondamentalismo e fanatismo?

Educazione?

Questa mattina ho posto nella mia terza la domanda: Che cosa vuo dire educare? Dalla raccolta di idee è emerso il seguente quadro:


Ci sono diverse cose interessanti su questa lavagna. In genere quando faccio questa domanda accade che quasi tutti rispondano che educare è imporre le regole; qui invece emergono aspetti più raffinati, come "tirare fuori i valori", "formare la personalità" e "portare al rispetto degli altri" - e sorprende quel "non imporre nulla".

Extra scholam nulla salus?

Foto di Antonio Vigilante*
A: Bisogna finirla con l'extra scholam nulla salus. Credere che solo attraverso la scuola di diventi pienamente umani vuol dire considerare limitatamente umani tutti coloro che non sono stati a scuola, o ne sono usciti anzitempo; significa squalificare come inferiore e disumana qualsiasi cultura che si distacchi da quella scolastica, vale a dire dalla cultura della classe sociale al potere.

B: Ma a cosa approda questo discorso? La scuola non è necessaria, dirai; e lo dirai prima di tutto a quelli che la scuola non l'amano - vale a dire ai non borghesi. Dirai loro che non serve venire a scuola, che la vita è piena di occasioni formative, che si può imparare ovunque e che quella scolastica non è che una delle culture possibili. In questo modo avrai espulso dalla scuola tutti i figli dei proletari, ed avrai restaurato la scuola d'élite, che è il sogno della destra.

A: Di che cosa ci preoccupiamo, esattamente? Io mi preoccupo della formazione dell'uomo e della donna. Tu, mi sembra, ti preoccupi del successo. Le due cose non coincidono. La scuola si presenta come una via per il successo, ed al tempo stesso pretende di essere una istituzione che educa. Io dico che diventare pienamente umani è una cosa che non ha a che fare con il successo. Quale successo, poi? Dalla scuola escono poche persone che diventano la classe dirigente (che accoglie, però, anche persone che non hanno studiato: ed in misura sempre maggiore); molti di più sono quelli che diventano impiegati dello Stato. E' questo il successo? E' questa la vita desiderabile per un essere umano? E' questa una vita degna di essere vissuta: passare anni ed anni seduti ad un banco, per poter poi occupare una sedia in un ufficio? E' questa la salvezza?