Blog di Antonio Vigilante

Assaporare il disgusto

Chandra Livia Candiani è tra le voci più importanti della poesia italiana, ma è anche una praticante del dharma del Buddha e traduttrice di testi buddhisti. Il suo ultimo libro - Il silenzio è cosa viva. L'arte della meditazione (Einaudi) - mette insieme le due cose: non è (o meglio: non è tanto) un manuale o una introduzione alla meditazione, ma è un libro sulla poesia della meditazione. Ce n'è bisogno, in un tempo in cui l'antica meditazione vipassana diventa mindfulness, una faccenda di medici e psicologi, una tecnica che promette benessere e successo. Una trasformazione nella quale vanno perse molte cose, a cominciare dal fine stesso della pratica; e la poesia è tra queste. Non sorprende che uno dei più grandi maestri viventi del dharma del Buddha, Thich Nhat Hanh, sia anche un grande poeta. Perché la poesia è attenzione, e la meditazione è attenzione. Chi pratica la meditazione, se lo fa nel senso più autentico, sta facendo poesia. Una poesia quotidiana, che concresce con il suo stesso respiro.

Se lo fa nel senso più autentico, ho scritto. Ma quale è il senso più autentico? Nella meditazione vipassana si diventa consapevoli di ogni più piccolo gesto, a cominciare dal respiro. Ora, è forte la tentazione di vedere la meditazione come una raffinata arte che ci conduce a scoprire e apprezzare la ricchezza delle nostre sensazioni. Nel libro di Candiani torna più volte il verbo assaporare.

Ho scritto per gratitudine, a un messaggio, a un'arte che mi ha fatto nascere di nuovo, amorevolmente, senza mai togliermi una briciola di dolore, aiutandomi ad assaporare tutto, appassionatamente (p. x). 
Ma nella vipassana si tratta davvero di assaporare? In un celebre discorso, citato anche da Candiani, il Buddha, dopo aver affermato che "tutto brucia", mostra ai discepoli la via del nibbidā. Seguendo il traduttore italiano del sutra, Candiani afferma che la parola significa "sereno disincanto": ed è l'atteggiamento da tenere nei confronti delle nostre sensazioni. Ma la parola pāli nibbidā è più complessa. Deriva dal verbo vindati, la cui radice (vid) rimanda al trovare e al conoscere. Nibbindati (nis+vindati) vuol dire essere stanchi di qualcosa, non volerne più, provarne nausea o disgusto.
Quando leggo Thich Nhat Han - e vale anche per questo libro di Candiani, come per le sue poesie - non posso fare a meno di restare incantato dalla bellezza del mondo filtrato dalla sensibilità di un poeta buddhista; e tuttavia mi chiedo se non si tratti di altro rispetto a ciò che indicava il Buddha.