Blog di Antonio Vigilante

Ancora, ancora, ancora

Nulla è più irreligioso del desiderio di immortalità personale.
Prendiamo il signor X. Ha superato da poco i quarant'anni, ed il corpo glielo ricorda in ogni istante. Per gran parte della giornata è concentrato sui dolori: il mal di schiena, il dolore allo stomaco, il mal di testa, la pressione che non va. Eccetera. La sua giornata è scandita dall'assunzione delle medicine. La pillola del mattino, le gocce di prima di pranzo, e così via. Ed ecco la signora Y. Un tempo era bella, molto bella. Non lo è più da molto tempo. Gli anni l'hanno sformata, ingrossata, spenta. Ma lei non lo sa: si sforza di non saperlo. Continua a credersi una bella donna, appena un po' invecchiata. A volte però la sorprende uno specchio meno pietoso degli altri. Si osserva con stupore, come se quella che si trova davanti fosse un'altra persona. Distoglie lo sguardo, poi torna a fissarlo sullo specchio, come ipnotizzata. Poi piange. Il signor Z non ha di questi cedimenti. Se lo specchio gli rimanda un'immagine poco piacevole, vuol dire che è ora di tornare dal chirurgo estetico. Il suo corpo non è un dato, ma un progetto. Come tutta la sua vita. E' un uomo teso verso il successo, l'affermazione personale, il denaro.
Il signor X, la signora Y, il signor Z pensano ogni tanto alla morte. Ne sono spaventati, atterriti. Ognuno di loro spera che la morte sia solo un inciampo temporaneo; ognuno di loro crede nella vita eterna, anche se ognuno di loro, per questa cosa straordinariamente importante, sacrifica una porzione irrilevante del proprio tempo.
Gli acciacchi del signor X, la tristezza della signora Y, l'arrivismo del signor Z meritano l'immortalità? Quale Dio è abbastanza compassionevole da rendere eterne queste miserie? Non è ridicolo, oltre che irreligioso, anche solo pensare di meritare l'immortalità (perché, naturalmente, de te fabula narratur).
Ma non è tutto qui. Il signor Y va al lavoro alle sette del mattino. Per giungere alla fermata dell'autobus attraversa una strada che sale lungo una collina, affiancata da altissimi pini. E' l'ora dell'alba. E lui si ferma un attimo a guardare il sole che colora il mondo. E il mondo gli sembra bellissimo, e per un attimo non ha alcun dolore. La signora Y ha una figlia di otto anni. Ha degli occhi neri straordinariamente intensi ed un sorriso dolcissimo. Il signor Z una volta era in treno, annoiato, e leggeva il giornale. Ad una fermata è venuta a sedersi di fronte a lui una ragazza sui vent'anni. Z le ha lanciato uno sguardo distratto, poi un secondo sguardo più attento. E infine si è ritrovato a guardare davvero. Smarrito, si è accorto che quella ragazza era qualcosa che non avrebbe potuto comprare; che quella presenza era fuori dal suo mondo, era la porta di accesso ad un altro mondo. Fuori la campagna correva, innevata. E il sole splendeva sulla neve.
La morte non è solo la nostra fine - la fine della nostra misera persona. La morte è, per noi, la fine del mondo. Quando moriamo, si spegne per noi l'alba sulle colline, il sorriso di un bambino, la sorpresa di una presenza. La morte di ogni essere umano è la morte del mondo intero. C'è un desiderio di immortalità più puro, che consiste in questo: desiderare che sia eterno il mondo; desiderare di essere - ancora, ancora, ancora - uno sguardo sul mondo. E' un desiderio che non sa che farsene della promessa religiosa di un paradiso. Non desidero alcuna ricompensa per i miei presunti, improbabili meriti. Non voglio uno scialbo giardino nel quale cantare le lodi al Signore. Voglio questo mondo. Voglio in eterno - ancora, ancora, ancora - osservare quest'alba, e questo sorriso, e questa presenza. L'eterno ritorno nietzscheano è l'unica concezione religiosa (perché di religione si tratta) adeguata a questo desiderio più puro, l'unica che scaturisca non dal dire di sì a sé stessi, ma dal dire di sì al mondo.

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