Contro la filosofia del mattatoio
F. Pullia, Al punto di arrivo comune, Mimesis, Udine 2012 |
Nella seconda metà degli
anni Trenta un giovane di Perugia si interrogò sulle possibilità di
una opposizione radicale al Regime fascista. Il fascismo – così
ragionava – è un sistema politico che si regge su una visione del
mondo. In cosa consiste questa visione? In quello che potremmo
definire esclusivismo vitalista, vale a dire nella esaltazione
di alcuni valori vitali (la giovinezza, l'esuberanza, la forza e la
violenza) e nel considerare inferiori coloro che sono privi di questi
valori – nel disprezzare il debole, il malato, il portatore di
handicap. Per contrastare il fascismo bisogna allora pensare al
contrario, portarsi dalla parte degli ultimi e dei deboli, cercare
valori opposti a quelli vitalistici. E' quello che Aldo Capitini
(così si chiamava quel giovane) farà per tutta la vita, giungendo
ad elaborare una teoria della nonviolenza che è, con ogni
probabilità, la più filosoficamente profonda che sia mai stata
pensata. Intanto fa subito una scelta pratica: se il fascismo esalta
la violenza del più forte sul più debole, lui sceglierà di
rispettare ogni forma di vita. Per questo diventa vegetariano, in
anni in cui essere vegetariani era considerato una bizzarria
assoluta. Gli stessi amici antifascisti vedevano in ciò una sua
stranezza, più che una scelta coerente.
L'eredità politica di
Capitini è stata raccolta dal Movimento Nonviolento, da lui fondato
nel 1961. Dal punto di vista filosofico, tuttavia, non si può dire
che abbia molti continuatori. Tra i pochi, occorre annoverare
Francesco Pullia, filosofo animalista che del complesso pensiero
capitiniano (che comprende anche una teoria del “potere di tutti”)
ha ripreso l'aspetto dell'apertura ad ogni essere vivente. In
Dimenticare Cartesio. Ecosofia per la compresenza (Mimesis,
Udine 2010) Pullia analizzava quella tradizione filosofica che,
partendo appunto da Cartesio, nega ogni valore alla vita non umana ed
afferma la rigida separazione tra mondo umano e mondo animale. Per il
filosofo francese gli animali non erano che automi, macchine prive di
vita, di pensiero, di emozioni, come tali liberamente sacrificabili.
E' una convinzione che non si ritrova solo nella filosofia: anche la
tradizione religiosa occidentale ha negato qualsiasi valore agli
esseri non umani, rimarcano il legame tra uomo e Dio e la sua
differenza da ogni altro vivente e dalla natura, che è chiamato a
dominare. E se oggi la Chiesa parla di sacralità della vita,
è chiaro che si tratta di sacralità della vita umana, mentre
tutti gli altri esseri viventi restano privi di un valore intrinseco.
Nell'enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II (1995), documento fondamentale del magistero cattolico sul tema della vita, si legge che “la vita è sempre un bene”, ma subito dopo si precisa che non si tratta della vita in generale, ma della vita umana, poiché “la vita che Dio dona all'uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra creatura vivente” (par. 34). Il che non vuol dire che l'uomo possa fare del creato quello che vuole. Dio lo chiama a dominare il creato, ma non a distruggerlo. “Chiamato a coltivare e custodire il giardino del mondo (cfr. Gn 2, 15) – scrive Giovanni Paolo II – , l'uomo ha una specifica responsabilità sull'ambiente di vita, ossia sul creato che Dio ha posto al servizio della sua dignità personale, della sua vita; in rapporto non solo al presente, ma anche alle generazioni future” (par. 42). Come si vede, è negato qualsiasi valore intrinseco alla vita non umana, che resta al servizio della vita umana. L'uomo ha la dignità che gli viene dall'essere immagine di Dio, l'animale no. E se rispetta la vita non umana, non lo fa per rispetto nei suoi confronti, ma per il bene delle generazioni future. Rispettando la natura, l'uomo nell'ottica cristiana e cattolica non rispetta il non umano, ma rispetta sé stesso, poiché la distruzione della natura mette in pericolo la stessa esistenza umana.
Nell'enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II (1995), documento fondamentale del magistero cattolico sul tema della vita, si legge che “la vita è sempre un bene”, ma subito dopo si precisa che non si tratta della vita in generale, ma della vita umana, poiché “la vita che Dio dona all'uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra creatura vivente” (par. 34). Il che non vuol dire che l'uomo possa fare del creato quello che vuole. Dio lo chiama a dominare il creato, ma non a distruggerlo. “Chiamato a coltivare e custodire il giardino del mondo (cfr. Gn 2, 15) – scrive Giovanni Paolo II – , l'uomo ha una specifica responsabilità sull'ambiente di vita, ossia sul creato che Dio ha posto al servizio della sua dignità personale, della sua vita; in rapporto non solo al presente, ma anche alle generazioni future” (par. 42). Come si vede, è negato qualsiasi valore intrinseco alla vita non umana, che resta al servizio della vita umana. L'uomo ha la dignità che gli viene dall'essere immagine di Dio, l'animale no. E se rispetta la vita non umana, non lo fa per rispetto nei suoi confronti, ma per il bene delle generazioni future. Rispettando la natura, l'uomo nell'ottica cristiana e cattolica non rispetta il non umano, ma rispetta sé stesso, poiché la distruzione della natura mette in pericolo la stessa esistenza umana.
Nel suo ultimo libro,
capitiniano fin dal titolo – Al punto di arrivo comune. Per una
critica della filosofia del mattatoio (Mimesis, Udine 2012) –
Pullia cerca gli spiragli per una filosofia altra all'interno del
pensiero contemporaneo, andando oltre la teoria dei diritti degli
animali, rappresentata dalle teorie ormai classiche di Tom Regan e
Peter Singer. Se Martin Heidegger, considerato a torto o a ragione il
più grande pensatore del Novecento, considera l'animale in una luce
esclusivamente negativa, come essere “povero di mondo” che vive
in una situazione si “sottrazione”, altri grandi pensatori hanno
tentato di riconsiderare il dominio umano sulla natura e sui viventi
non umani, mettendo alla luce il rapporto esistente tra violenza sui
non umani e violenza sugli umani. Max Horkheimer, filosofo della
Scuola di Francoforte, descrive la società capitalistica come un
grattacielo che ha ai piani più alti i grandi gruppi di potere, alla
base i poveri e più sotto ancora, nella cantina, i mattatoi, mentre
Jacques Derrida considera arbitraria l'azione di tracciare un limite
netto tra umano e non umano e di confinare tutti i non umani nella
categoria dell'animale. Ralph
R. Acampora parte dal corpo, elemento comune agli uomini ed agli
animali, caratterizzato da una medesima vulnerabilità, per pensare
una compassione corporea quale fondamento di un'etica interspecifica.
Francesco Pullia |
Non
manca il contributo di pensatori italiani. Si va dal citato Aldo
Capitini, con la sua suggestiva idea di un atto di unità-amore che
abbraccia tutti gli esseri viventi e sfida la logica violenta della
natura, a Piero Martinetti, filosofo antifascista come Capitini, che
già nel '22, nel suo Breviario spirituale
condannava come immorale ogni violenza sugli animali ed affermava
l'esistenza di una profonda comunanza tra esseri umani ed animali, ad
Edmondo Marcucci, promotore della nonviolenza e del vegetarianesimo,
fino ai pensatori di oggi. Tra questi in particolare meritano
attenzione Leonardo Caffo e Marco Maurizi. Il primo, giovanissimo (è
nato nell'88), considera il rispetto dei non umani come un momento
della più generale opera di liberazione della società da ogni forma
di oppressione, mentre Maurizi interpreta lo sfruttamento della
natura e degli animali quale conseguenza del capitalismo, che ha
assoggettato anche l'essere umano. La lotta di classe marxista va per
Maurizi estesa anche al mondo animale, e dev'essere intesa come lotta
per la liberazione da ogni forma di dominio.
Questo
concetto di dominio è forse il concetto-chiave per un'etica
interspecifica. E' importante distinguere il potere dal dominio, che
ne è la degenerazione. Il potere ha a che fare con la possibilità.
Una persona ha potere se può soddisfare i suoi bisogni. Senza potere
la vita stessa è impossibile: già mangiare è un atto di potere.
Ora, c'è potere fino a quando questo soddisfacimento dei propri
bisogni avviene non in contrasto con il soddisfacimento dei bisogni
altrui; il potere è collaborativo: più persone che hanno potere
soddisfano insieme i propri bisogni. E', in fondo, quello che accade
normalmente in società. Gli esseri umani si associano per provvedere
meglio, insieme, ai bisogni di ognuno. Accade tuttavia che questa
comunità si infranga, e che alcuni cerchino di soddisfare i propri
bisogni limitando il soddisfacimento dei bisogni altrui. Alcuni
vogliono essere di più
degli altri. E' così che nasce il dominio. Lo sfruttamento della
natura e degli animali è, per essenza, una forma di dominio:
l'essere umano soddisfa i suoi bisogni, essenziali e non essenziali,
a costo della vita di miliardi di esseri non umani. Ma non si tratta
del dominio dell'essere umano sulla natura, bensì di un aspetto
dello stesso dominio di alcuni umani su altri. Il sistema di dominio
capitalistico, cioè, assoggetta tanto gli animali quanto gli esseri
umani. Per sua natura, il capitalismo è escludente, anche se si
presenta come una promessa di liberazione per tutti. Gli abitanti dei
paesi ricchi possono vivere soddisfacendo bisogni fittizi, creati dal
sistema dei consumi, solo se gli abitanti dei paesi poveri vivono in
condizione di sfruttamento (e in condizioni simili sono, ogni giorno
di più, ampie fasce della popolazione degli tessi paesi ricchi). I
beni sul mercato capitalistico sono prodotti grazie alla manodopera a
basso costo della Cina e di altri paesi asiatici. La stessa
alimentazione carnea di chi vive nei paesi ricchi è possibile
sottraendo risorse alimentari ai paesi poveri.
Non
basta, per liberare gli animali, rivendicare i loro diritti. Come
osserva lucidamente Pullia, “il diritto è, per sua natura, ambito
di ambiguità e di violenza, coniato e plasmato, riconosciuto o
negato a seconda del sistema socioeconomico dominante” (p. 70). Il
diritto, cioè, non è al di sopra del sistema di dominio, ma ne è
condizionato; per cui ci si illude, credendo che il diritto possa
contrastarne le logiche. Cercare leggi contro il maltrattamento sugli
animali o la vivisezione non basta. Pullia confida piuttosto nel
diffondersi di una nuova sensibilità, dimostrata dalla presenza di
numerosi movimenti per i diritti degli animali e da manifestazioni
come quella contro Green Hill. Perché questa rivoluzione si compia,
occorre che vi sia una svolta teoretica, un cambiamento radicale
nella nostra visione del mondo che abbandoni il secolare
antropocentrismo. Un cambiamento che può cominciare dal ricordare ad
ognuno che ogni giorno, ogni ora, ogni istante in ogni parte del
mondo si compie un olocausto silenzioso, lo sterminio di miliardi di
vite ridotte a cosa, a prodotti da supermercato. I bambini nemmeno
riescono più a risalire dal pezzo di carne che hanno nel piatto
all'animale da cui quella carne è tratta. Vedono il prodotto, non la
struttura di sofferenza che c'è dietro. Gli adulti non sono molto
diversi. Sanno che dietro ogni pezzo di carne c'è un animale ucciso,
ma in fondo non lo sanno
davvero. Spesso non hanno mai visto un mattatoio o un allevamento
industriale. Non vedono sia perché il sistema si preoccupa di
mettere fuori dalla scena le immagini che disturbano – e le
immagini della pubblicità sono al contrario rassicuranti –, sia
perché sono condizionati da strutture di pensiero che giustificano
qualsiasi violenza, poiché l'animale non è che una cosa. Si tratta
di strutture di pensiero sostanzialmente fragili, che non è
difficile scardinare; “ragionamenti” come: “in fondo gli
animali sono stati creati da Dio per noi”. Più difficile è
combattere gli enormi interessi economici che sono dietro l'industria
degli allevamenti, con la sua enorme capacità di condizionare
l'opinione pubblica attraverso i mass media e gli investimenti
pubblicitari. Il cambiamento, insomma, non è facile. Si tratta di
una lotta che ha bisogno del contributo di figure diverse:
economisti, pubblicitari, fotografi, documentaristi, scrittori (si
pensi a Jonathan Safran Foer). E di filosofi come Francesco Pullia.
Articolo scritto per Stato Quotidiano.
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