L'altro nell'io
IL PROBLEMA di Shinran: come è possibile, attraverso la pratica
dell’io, sradicare l’illusione dell’io? Come può un io salvarsi dall’io?
La soluzione di Shinran è nell’abbandono ad Amida. E’ Amida che
compie l’opera, è la forza dall’esterno che irrompe ed opera la
conversione. La pratica lascia il posto alla fede.
Ma è, questa, una soluzione? Se l’io è io, e null’altro che io,
sono possibili atti che non siano egoistici? Non sarà anche il voto ad
Amida un atto egoistico? Può l’io affidarsi all’altro, restando io?
Il passo ulteriore è quello di considerare l’irrompere dell’altro
assolutamente indipendente da qualsiasi atto dell’io, sia esso di
carattere gnostico o devozionale. Dio, o Buddha Amida, o la Realtà
irrompe oltre i limiti dell’io, lo apre, lo spacca: e lo salva. La
salvezza è indipendente da qualsiasi atto; la grazia non ha a che fare
con i meriti. All’uomo non resta nulla da fare. Anche porsi in attesa è
un atto paradossale: può realmente un io porsi in attesa dell’irruzione
che lo sgomina? Una tale attesa non può essere che insincera, se ogni
atto dell’io è necessariamente egoistico.
Ma c’è un’altra possibilità, ed è quella di considerare
diversamente l’io. Forse l’io non persegue solo scopi egoistici; forse
c’è anche, nell’io, qualcosa d’altro, una luce nascosta nel buio, una
urgenza che chiede altro; un elemento spirituale che spinge l’io oltre
l’io. C’è, forse, una morte che abbraccia la vita dell’io, o una vita
che abbraccia la morte che è l’io. E’ questo altro dall’io che è nell’io
che si manifesta nella malinconia improvvisa, nel senso di spaesamento,
nella disperazione, nel senso di disgrazia da cui nessuno, credo, è
immune; e, forse, ha a che fare con il dolore che sempre accompagna la
bellezza.