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blog di antonio vigilante

Entriamo nel merito

Con ogni probabilità nessuno, nella storia del pensiero mondiale, ha affermato il principio del merito con più convinzione del filosofo cinese Mozi. “Nell’amministrare il governo, — si legge nell’opera a lui attribuita — gli antichi re-saggi collocavano in alto le persone moralmente eccellenti ed esaltavano i virtuosi. Se capace, anche un contadino o un artigiano sarebbe stato assunto con un alto rango, remunerato con emolumenti liberali, incaricato di importanti incarichi e autorizzato a emanare ordini definitivi” (Mozi, The Mozi. A complete translation , translated and annotated by Ian Johnston, The Chinese University of Hong Kong, Hong Kong 2010, 8). La meritocrazia era la via sicura per ottenere uno Stato solido, in grado di favorire il bene del popolo, mentre erano ben evidenti i mali derivanti dalla logica del nepotismo e dalla concentrazione del potere e della ricchezza in clan ristretti.

Poiché il nostro Paese ha un evidente problema di potere e ricchezze concentrati in clan ristretti, vien voglia di aderire entusiasticamente al pensiero di Mozi e di nutrire belle speranze per la nuova denominazione del Ministero dell’istruzione voluta dal governo Meloni: Ministero dell’istruzione e del merito. Finalmente nel nostro Paese i poveri, se meritevoli, potranno andare al potere o, se preferiscono, diventare ricchi. Sistematicamente.

Ma le cose non stanno proprio così.

Cos’è il merito a scuola? È senz’altro meritevole uno studente che, appunto, studia. E poi rispetta le regole. È educato e composto. Non crea problemi disciplinari. Fa quello che la scuola gli chiede di fare. Impara? È lecito dubitarne. Chi insegna sa che purtroppo non è scontato che aver preso un buon voto significhi aver imparato davvero. Cosa che è facile constatare provando a chiedere a qualsiasi studente di successo di parlare di un argomento a caso dell’anno precedente. Si scopre, spesso, che le differenze tra chi aveva i voti più alti e chi era perfino insufficiente sono minime.

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Hitler e il vegetarianesimo

Anni fa la lettura del bellissimo The bloodless revolution di Tristam Stuart mi offrì una prospettiva inedita sul vegetarianesimo di Hitler (ma dovrei dire: sull’hitlerismo in generale). Sono tornato sul tema, leggendomi le Conversazioni a tavola di Hitler, per aprire una finestra in un libro che sto scrivendo sul Diavolo e la violenza cristiana.

In questo libro ho parlato del dispositivo diabolico del cristianesimo, cercando di dimostrare i suoi effetti terribili sulla storia dell’Occidente e del mondo intero. Questo non vuol dire, come è naturale, che si tratti dell’unico dispositivo violento dell’Occidente, né che solo l’Occidente abbia dispositivi simili. Come detto nell’introduzione, ritengo che sia urgente ed importante una riflessione sulle radici culturali della violenza, che sono molteplici e in qualche caso intrecciate tra di loro. Di particolare importanza è scoprire radici violente lì dove sono particolarmente occultate; dove pare che vi sia, al contrario, la radice dell’amore e della benevolenza.

Se dovessi citare un caso simile potrei far riferimento all’esaltazione mistica della Natura e delle sue energie, diffusa nei diversi atteggiamenti riconducibili alla sensibilità new age. Una esaltazione che normalmente fa corpo con una fede cieca nelle cure naturali e la convinzione che la malattia non sia che la conseguenza di una qualche forma di alterazione dell’equilibrio naturale. Frequente è anche la scelta vegetariana o vegana, quando non il crudismo.

Una obiezione frequente, nei confronti dei vegetariani, è che anche Hitler era vegetariano. Si obietta che si tratta di un caso particolarmente rozzo di reductio ad Hitlerum e che Hitler era vegetariano non certo per convinzione personale, ma per ragioni di salute. Questo è falso. Hitler era un vegetariano con tendenze crudiste talmente convinto, da desiderare che anche il suo cane da pastore Blondi diventasse vegetariano (p.571). In un certo senso non è falso che fosse per lui questione di salute; ma non si trattava di guarire da qualche disturbo di salute. Hitler considerava innaturale per l’essere umano il consumo di carne e lo associava alla decadenza. I soldati di Cesare, osservava, non mangiavano carne, e così gli antichi vichinghi (p. 114); ed in natura sono più forti e resistenti gli animali vegetariani. In una conversazione sul futuro dell’umanità, dopo aver affermato che le religioni sono destinate al declino, conclude: “Ma c’è una cosa che posso predire a quelli che mangiano carne: il mondo futuro sarà vegetariano” (p.125).

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