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blog di antonio vigilante

Quella distanza che rende la scuola più vicina

I problemi, le difficoltà, i rischi della chiusura – non si sa fino a quando – della scuola sono evidenti: primo fra tutti la possibilità concreta che chi è già indietro resti ancora più indietro, a causa del divario culturale, cui si aggiunge ora, spesso, il divario digitale. Un piccolo studente che abbia difficoltà legate alla motivazione, con alle spalle una famiglia che non lo supporta, rischia di perdere anche l’incoraggiamento e il sostegno della comunità scolastica (quando c’è: cosa che non è purtroppo scontata). E può essere che la mancanza di computer o di una stabile connessione alla rete Internet finisca per aggravare il quadro.
Vorrei però ragionare anche sulle opportunità di questa fase così difficile. Procederò per punti.
1. Nuove modalità relazionali. Sono fortemente convinto che il principale problema della scuola italiana vada individuato nella relazione tra docenti e studenti. La scuola nasce come istituzione autoritaria, asimmetrica, disciplinare e tendenzialmente totalizzante. E’ una istituzione di potere, che promette di creare delle soggettività solo dopo un lungo assoggettamento, per dirla alla Foucault. Altrove i sistemi scolastici sono riusciti a fare i conti con questo passato autoritario ed a staccarsi da una modalità relazionale che ha poco a che fare con l’apprendimento. L’Italia no. Benché nella percezione di molti la causa della crisi attuale della scuola vada ricercata in un lassismo che si fa risalire all’influenza nefasta del Sessantotto, in realtà la scuola persiste nel suo delirio unidirezionale. Il docente fa lezione dalla cattedra, gli studenti sono nei loro banchi in fila, il sapere si trasmette dall’uno agli altri.[read more]

Ora, l’irruzione della distanza fa saltare il gioco. Quei docenti che persistono nel guardare le classi dall’alto della pedana sotto la cattedra (sì: in Italia persistono le pedane sotto le cattedre) dovranno adesso accontentarsi di mettere le pedane sotto le scrivanie. O sotto la webcam, se preferiscono. Il docente collegato in videoconferenza con la sua classe diventa, che lo voglia o no, quello che dovrebbe essere: una persona al servizio dei suoi studenti, pagata dallo Stato per favorire i loro apprendimenti. Tutto l’apparato di controllo, tutto il setting che sostiene e giustifica il suo potere, è venuto a crollare. Nessuno chiederà il permesso per andare in bagno. Lo studente è a casa sua, il docente entra nella sua cameretta, nel salotto, nella cucina a volte. E dovrà farlo necessariamente in punta di piedi. Paradossi di questo tempo sospeso: la didattica a distanza annulla la distanza.
2. Riflessione sulla valutazione. La domanda più pressante, in questi giorni, è: come valutare? Il sottinteso è: come essere certi che non copino? C’è dietro questa domanda la paura di perdere anche l’ultimo strumento di potere, il voto. Che dovrebbe solo servire ad aiutare lo studente a monitorare il suo percorso di apprendimento, ma in un sistema autoritario diventa uno strumento di potere e di manipolazione per gli uni, il fine reale del lavoro per gli altri. A meno che non si voglia interrogare lo studente in videoconferenza avendo cura che sia bendato, l’unico modo per valutare in questo periodo è concentrarsi sulle competenze. Non chiedere allo studente di ripetere quello che c’è sul libro, o che il docente ha detto a lezione, ma proporre delle attività dalle quali emerga la rielaborazione personale, la capacità di applicare le conoscenze, la creatività. Inutile fare la classica interrogazione sul pensiero di Nietzsche; chiedere piuttosto di scrivere soggetto e un pezzo di sceneggiatura di un film nicciano (che si leghi cioè, anche in modo critico, a qualcuno dei temi di fondo del suo pensiero). Ma concentrarsi sulla competenza è quello che bisognerebbe fare sempre, a scuola, per evitare il vuoto nozionismo, la penosa simulazione del sapere.
3. I gruppi. Un lavoro come quest’ultimo potrebbe essere troppo difficile per il singolo studente. Meglio proporlo come lavoro di gruppo. Ed è questa, forse, la principale opportunità di questo periodo. Il lavoro di gruppo a scuola – nella scuola italiana – è da sempre marginale. Lo è anche per l’ossessione docimologica: come valutarlo? come impedire che il lavativo di turno si avvantaggi del lavoro degli altri? Gli strumenti che utilizziamo in questi giorni sono nati spesso per favorire il lavoro nelle aziende. E’ il caso di Teams, strumento centrale di Microsoft Office 365 Education A1, tra le piattaforme raccomandate dal Miur. Penso tutto il male possibile di questa raccomandazione di servizi proprietari, quando sono disponibili alternative open source, e mi chiedo anche perché il Ministero non abbia approntato mai una sua piattaforma per l’apprendimento aperta, gratuita, con alle spalle una solida visione pedagogica. Cerco però di vedere il buono anche nelle cose che non mi piacciono, soprattutto quando sono cose che devo usare per lavoro. Teams funziona bene, come dice il suo nome, per il lavoro di gruppo. Usare strumenti come questo per continuare la didattica unidirezionale è sciocco. E’ bene che finalmente i nostri studenti imparino a coordinarsi, condividere le informazioni, dividersi i compiti, costruire l’intelligenza collettiva.
4. La scuola e l’altrove. La scuola pensa sé stessa come una cittadella del sapere. Un mondo chiuso nel quale c’è il sapere vero, autentico, certificato (con qualche eccezione: i voti scolastici in inglese o francese non certificano nulla di per sé; “conoscenza scolastica” nel curriculum in questo caso non fa fare una grande figura), autorevole. Fuori è tutto dilettantismo. La chiusura della scuola come luogo fisico abbatte questa barriera mentale. Il docente che fa lezione in videoconferenza ha come strumento il suo computer. Potrà usare, sul suo computer, il libro di testo. Ma potrà anche esplorare la rete insieme ai suoi studenti. La classe, di fatto, diventa questo: un ambiente di apprendimento connesso alla rete, e dunque parte di un più grande sistema informativo, che può essere un pericolo (ah, la privacy), ma anche una straordinaria risorsa.
La scuola a distanza, dispersa apparentemente nelle singole abitazioni dei docenti e degli studenti, può tentare nuove relazioni, nuove connessioni, nuove modalità di ricerca. Essere, forse, più vicina che mai.

Gli Stati Generali, 24 marzo 2020.[/read]

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Quella distanza che rende la scuola più vicina

I problemi, le difficoltà, i rischi della chiusura – non si sa fino a quando – della scuola sono evidenti: primo fra tutti la possibilità concreta che chi è già indietro resti ancora più indietro, a causa del divario culturale, cui si aggiunge ora, spesso, il divario digitale. Un piccolo studente che abbia difficoltà legate alla motivazione, con alle spalle una famiglia che non lo supporta, rischia di perdere anche l’incoraggiamento e il sostegno della comunità scolastica (quando c’è: cosa che non è purtroppo scontata). E può essere che la mancanza di computer o di una stabile connessione alla rete Internet finisca per aggravare il quadro.
Vorrei però ragionare anche sulle opportunità di questa fase così difficile. Procederò per punti.
1. Nuove modalità relazionali. Sono fortemente convinto che il principale problema della scuola italiana vada individuato nella relazione tra docenti e studenti. La scuola nasce come istituzione autoritaria, asimmetrica, disciplinare e tendenzialmente totalizzante. E’ una istituzione di potere, che promette di creare delle soggettività solo dopo un lungo assoggettamento, per dirla alla Foucault. Altrove i sistemi scolastici sono riusciti a fare i conti con questo passato autoritario ed a staccarsi da una modalità relazionale che ha poco a che fare con l’apprendimento. L’Italia no. Benché nella percezione di molti la causa della crisi attuale della scuola vada ricercata in un lassismo che si fa risalire all’influenza nefasta del Sessantotto, in realtà la scuola persiste nel suo delirio unidirezionale. Il docente fa lezione dalla cattedra, gli studenti sono nei loro banchi in fila, il sapere si trasmette dall’uno agli altri.

I limiti del controllo

Qualche settimana fa uno studente mi ha fatto una domanda cui non è facile rispondere. Avevo letto in classe alcune pagine de Il futuro della democrazia di Norberto Bobbio, un libro del 1984 per molti versi ancora molto attuale. Nel primo capitolo Bobbio ragionava delle “promesse non mantenute” della democrazia. Tra le altre, la persistenza delle oligarchie, di ambiti in cui si esercita il potere in modo non democratico (e molto c’è da riflettere, oggi, sui social network), di forme di potere che si sottraggono al controllo (un controllo, osservata Bobbio, “tanto più necessario in un’età come la nostra in cui gli strumenti tecnici di cui può disporre chi detiene il potere per conoscere capillarmente tutto quello che fanno i cittadini è enormemente aumentato, è praticamente illimitato”), la mancanza di una educazione del cittadino, l’incapacità di uno Stato democratico di rispondere alle richieste sempre più numerose che provengono dalla società civile.
La domanda dunque era: come possiamo dimostrare che la democrazia sia in assoluto il miglior sistema di governo? Si trattava di una lezione di Scienze Umane, e studiando antropologia gli studenti già al terzo anno imparano cos’è il relativismo culturale. Se ogni cultura ha i suoi valori, come possiamo sostenere il valore transculturale della democrazia?

Cos'è una classe virtuale (e perché dev'essere libera)


In questo periodo di grave difficoltà per la scuola pubblica, pare segno di grande responsabilità e generosità che aziende piccole, grandi e grandissime abbiano messo a disposizione gratuitamente i loro servizi. Prime fra tutte, le multinazionali dell’informazione per eccellenza: Google e Microsoft. Google Suite for Education e Office 365 Education A1 fanno bella mostra di sé nella pagina del Miur dedicata alla didattica a distanza, quali piattaforme raccomandate; e di fatto, grazie a questo endorsement ministeriale, sono le piattaforme più usate dalle scuole in questo periodo. Il Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione e l’Agenzia per l’Italia Digitale hanno poi promosso Solidarietà digitale, una pagina con il lungo elenco di aziende ed associazioni che mettono gratuitamente a disposizione i loro servizi: si va dall’immancabile Amazon ai gestori di telefonia fino alla aziende di trasporti che offre corse gratuite, una offerta poco comprensibile in un periodo di immobilità coatta.
Bisogna essere molto ingenui per non vedere dietro questa generosità la realizzazione di un sogno: quello di conquistare il lucroso settore della scuola pubblica, rendendo i propri servizi indispensabili per la didattica ed acquisendo i dati personali di migliaia, possibilmente milioni di studenti e docenti. Chi scrive ha conseguito un attestato di Docente esperto in tecnologie informatiche non meno di vent’anni fa. All’epoca per essere esperti di tecnologie informatiche bastava saper usare Microsoft Office; e l’attestato giunse proprio alla fine di un corso a distanza (naturalmente gratuito) di Microsoft, accompagnato e completato dal dono generoso di una copia gratuita della suite Office. La logica è quella commerciale del cavallo di Troia: si offre un servizio gratis, si entra nella scuola pubblica e si conquista il mercato dell’insegnamento.

16 marzo, lunedì


Cercando aria, luce e colori, mi sono spinto questa mattina con il mio cane per i colli senesi, sui quali la primavera, indifferente alla nostra angoscia, sta cominciando a celebrare la sua festa. Nessuno per strada; solo, di là dai cancelli, due uomini impegnati nella potatura degli ulivi. "Taglia più in basso, lì" le uniche parole sentite. Per il resto il silenzio morbido e gentile dei colli. E i rospi.
Questo è il periodo della mattanza dei rospi. S'azzardano sull'asfalto e vengono falciati da un mostro di acciaio che nulla sa di loro. Restano lì, un ammasso di sangue e carne, fino a quando i raggi del sole non cominciano la loro operazione alchemica. In capo a qualche giorno, di loro non resta resta una sagoma di grigia e rinsecchita; qualche giorno ancora, e svanisce anche la forma - la tragica persistenza di una parvenza di vita, perfino di volontà.
Mi hanno seguito per tutta la mia esplorazione dei colli, queste cose, fino a quando ho ceduto al loro invito alla riflessione. Sì, non siamo forse anche noi così? Possiamo davvero ritenerci diversi da un rospo, nell'economia dell'universo? Non siamo fatti fuori anche noi, da un momento all'altro? E resta di noi qualcosa di diverso, nonostante la premura dei superstiti?