Venerdì, 31 gennaio
Ieri una collega mi ha chiesto come mai sono stato in malattia. Le ho detto del mal di schiena. “Alla nostra età succede”, ha detto. Alla nostra età. La sua, la mia. C’è un’età che ora è anche la mia nella quale succede di star male per il mal di schiena. E succedono tante altre cose.
Ma queste cose – ed è questo l’essenziale – succedono al di fuori. Nel corpo, ma al di fuori. Nel corpo, ma al margine di qualcosa che resta identico, immutato: che si rifiuta di appartenere alla nuova età, semplicemente perché non ha a che fare con altro che con questo-presente-qui, che non è più giovane o più vecchio di alcun altro presente.
“Ogni istante del tempo può essere denominato ‘monade di eternità'”, dice Nishitani.
Venerdì, 31 gennaio
Ma queste cose - ed è questo l'essenziale - succedono al di fuori. Nel corpo, ma al di fuori. Nel corpo, ma al margine di qualcosa che resta identico, immutato: che si rifiuta di appartenere alla nuova età, semplicemente perché non ha a che fare con altro che con questo-presente-qui, che non è più giovane o più vecchio di alcun altro presente.
"Ogni istante del tempo può essere denominato 'monade di eternità'", dice Nishitani.
Tutti cercano la vita, tutti hanno paura della morte
Ebbene sì: qualsiasi essere vivente, animale o vegetale, in natura è profondamente egoista, crudele, cinica, razzista e specista. Qualsiasi essere vivente, compreso l’uomo. In natura. Cioè prima della civiltà.
Il principio dell’uguaglianza degli esseri umani non è una descrizione di una pretesa uguaglianza reale: è una prescrizione sul modo in cui gli esseri umani dovrebbero essere trattati. [1]
Affinché due esseri abbiano gli stessi diritti non occorre dunque che siano identici. Occorre tuttavia che abbiano comunque qualcosa in comune. Sembra piuttosto arduo sostenere l’uguaglianza tra esseri umani e pietre, ad esempio. Se si afferma che gli animali hanno diritti come gli esseri umani (e non, evidentemente, tutti gli stessi diritti), è perché c’è qualcosa che i primi ed i secondi hanno in comune. Di cosa si tratta? Una prima risposta è: la capacità di soffrire. Un cane o una scimmia soffrono come un essere umano. O meglio: è difficile sapere se la sofferenza è esattamente la stessa, perché nella percezione della sofferenza nel caso dell’essere umano intervengono elementi che possono non essere presenti nell’animale. Che un animale soffra, tuttavia, è innegabile. E sappiamo per esperienza che la sofferenza è un male. Ma la soppressione della vita animale diventa accettabile, se fatta con metodi non dolorosi? E: gli esseri viventi non dotati di sistema nervoso non hanno alcun diritto alla vita? Un criterio diverso è quello che si trova in testi scritti molti secoli prima che si cominciasse a parlare di animalismo ed antispecismo: i sutra buddhisti. Nel Dhammapada si legge (verso 129):
Sabbe tasanti dandassa
sabbe bhayanti maccuno
attanam upamam katva
na haneyya na ghataye.Tutti hanno paura del bastone
tutti temono la morte.
Facendo un confronto con se stessi
non si colpirebbe e non si ucciderebbe. [2]
La cosa che accomuna tutti gli esseri viventi – che si tratti di un essere animale, di un cane o di una pianta – è il fatto di evitare la morte e di cercare la vita. Come dice un verso successivo (131), tutti gli esseri sono “in cerca di felicità”. In termini nietzscheani, potremmo dire che ogni essere vivente esprime un sì alla vita. E’ facile osservare in natura questa ricerca della vita: si pensi al modo in cui le piante si sporgono verso la luce o si adattano per sopravvivere anche in condizioni difficili. Di fronte a questo sì alla vita, che è lo stesso che muove l’essere umano, è doveroso il rispetto. Che vuol dire, in concreto, considerare vandalismo la distruzione gratuita ed evitabile di qualsiasi essere vivente.
Si dirà – ed è quello che dice l’autore dell’articolo – che in natura ogni vita, affermando sé stessa, lo fa a scapito delle altre vite. In natura nessun essere vivente esprime rispetto per il sì alla vita di altri esseri viventi. E’ una convinzione che si può discutere. Non mancano, da Kropotkin a Danilo Dolci, coloro che hanno considerato il mondo naturale ed animale come un campo di grandi insegnamenti morali. Una cosa è certa: in natura la violenza su altre vite è normalmente finalizzata alla sopravvivenza. Il leone sbrana la gazzella se ha fame. Un leone sazio è pacifico, come sanno quelli che lavorano nei circhi (di cui auspico la rapida scomparsa, nella loro forma attuale). La distruzione della vita, dunque, non è gratuita ed evitabile. Ed è esattamente questo che i difensori dei diritti degli animali chiedono. Non di evitare la distruzione di qualsiasi vita animale, ma di evitare ogni distruzione di vita animale gratuita ed evitabile. Per alimentarsi occorre uccidere: non si sfugge. Ma, si dirà, non è dunque giusto allevare, uccidere e mangiare animali per soddisfare il bisogno primario della sussistenza? Qui entra in gioco l’altro criterio, quello della sofferenza. Tutti gli esseri viventi cercano la vita, tutti cercano di sfuggire alla morte. Alcuni, però, a differenza di altri hanno la capacità di soffrire. Potendo scegliere quale vita distruggere per soddisfare il bisogno primario si alimentarsi, è doveroso scegliere la vita che non è capace di sofferenza. Si può obiettare che qui è all’opera un criterio ancora antropocentrico: si salva l’animale perché ha qualcosa che lo accomuna all’essere umano, mentre si condanna la pianta che è più lontana dall’essere umano. E’ una obiezione seria, anche se al senso comune può sembrare provocatoria, perché siamo abituati a percepire le piante come quasi-cose. In mancanza di altri criteri per distinguere la vita sacrificabile da quella non sacrificabile, mi pare però che questo sia un criterio ragionevole.
Un’ultima osservazione. Nelle specie animali è molto raro che gli scontri tra i singoli individui siano mortali. La violenza interspecifica è in genere frenata da meccanismi di pacificazione. Quando nello scontro diventa evidente chi è il più forte, ad esempio, l’altro si sottomette, e lo scontro finisce. Nella specie umana questi meccanismi non funzionano. Se dicessi che la specie umana nel corso della sua vita sulla terra si è massacrata da sola, direi il falso, perché per la gran parte della sua vita sulla terra la specie umana si è espressa in società di caccia e raccolta che erano sostanzialmente pacifiche, e certo non conoscevano lo sterminio. Gli esseri umani si massacrano da qualche secolo. Da quando, diciamo, hanno introdotto l’agricoltura, la proprietà, lo Stato. Forse anche la religione.
Perché gli esseri umani si massacrano? Una risposta plausibile è la seguente. Il nemico, che viene massacrato, in virtù della sua differenza (di etnia, di religione, di ideologia ecc.) non è più percepito come un appartenente alla stessa specie. E’ come se non fosse più un essere umano, ma un animale. In questo senso la violenza interspecifica diventa violenza intraspecifica.
Se le cose stanno così, abbiamo una ragione in più per considerare urgente la questione della violenza sulle specie animali. Non è escluso che qui sia la chiave per risolvere anche il problema della violenza sull’essere umano.
[1] P. Singer, Liberazione animale, tr. it., il Saggiatore, Milano 2010, p. 21. Corsivo nel testo.
[2] Traduzione di Luigi Martinelli: Dhammapada, Mondadori, Milano 1990.
Tutti cercano la vita, tutti hanno paura della morte
Ebbene sì: qualsiasi essere vivente, animale o vegetale, in natura è profondamente egoista, crudele, cinica, razzista e specista. Qualsiasi essere vivente, compreso l’uomo. In natura. Cioè prima della civiltà.
Appunti di ateologia #2
Appunti di ateologia #2
Rinunciare al karma
Rinunciare al karma
Versetti pericolosi?
Versetti pericolosi del frate servita Alberto Maggi (Fazi, Roma 2011) presenta una lettura dei vangeli talmente semplificata da apparire naïf. Gesù era buono: radicalmente buono. E’ venuto ad annunciare il vangelo dell’amore. Ma era, il suo, un messaggio nuovo, perché il Dio degli ebrei, il Dio dell’Antico Testamento, non era un Dio d’amore. Era il Dio della legge, il Dio che giudica e condanna, che separa il puro dall’impuro e che incute paura. I suoi rappresentanti, al tempo di Gesù, sono gli scribi ed i farisei, religiosi zelanti attenti più a rispettare la legge che a rispettare l’uomo.
Durante tutta la sua vita, Gesù non ha fatto che attraversare liberamente la linea di confine tra il puro e l’impuro, collocandosi dalla parte degli impuri ed operando in questo modo una trasmutazione dei valori. L’episodio più clamoroso, sul quale Maggi si sofferma ed a cui fa riferimento il titolo del suo libro, è quello della lapidazione dell’adultera. Che, spiega l’autore, doveva essere in realtà una bambina sui dodici anni, poiché non era una donna sposata, ma in attesa di nozze (l’adultera sposata secondo la legge invece andava strangolata). Erano talmente scandalosi, i versetti che raccontano l’assoluzione dell’adultera, che
Per almeno un secolo nessuna comunità cristiana accettò questo brano, che veniva ogni volta rispedito al mittente, e ci vollero ben tre secoli prima che questi versetti trovassero ospitalità in un vangelo, che non era quello originario, e venissero inseriti da Girolamo nel Nuovo Testamento.
Questo passo è scandaloso perché più di altri mostra il cambiamento avvenuto, che Maggi così sintetizza:
In ogni religione, compresa quella giudaica, si insegnava che Dio premiava i (pochi) buoni ma castigava inesorabilmente i (tanti) cattivi. Gesù annuncia e dimostra che il Signore “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6,35). Ma se Dio non premia più i buoni e non castiga più i malvagi, allora… non c’è più religione! Con Gesù è finita la religione e inizia la fede.
Le conseguenze di questa affermazione, sul piano dottrinale, sono piuttosto profonde. Per Maggi c’è una discontinuità assoluta tra prima e dopo, tra Antico e Nuovo Testamento, tra legge mosaica e vangelo. Il che vuol dire, con ogni evidenza, che i cristiani dovrebbero smetterla di considerate sacro l’Antico Testamento e ritenere che il Dio che parla attraverso le sue pagine sia un Dio falso e violento, ricongiungendosi con il marcionismo ed allontanandosi, ahimè, dall’ebraismo.
Ma le cose stanno proprio così? Quella di Maggi è una lettura dei vangeli molto selettiva. Non mancano, certo, i passi che indicano la logica dell’amore, che è ciò che più colpisce e seduce del vangelo. E tuttavia, se la storia della Chiesa è una storia violenta, se il cristianesimo storico ricorda più la legge mosaica che la logica dell’amore, è perché nel vangelo c’è anche altro.
Per Maggi con Gesù finisce la religione e comincia la fede. E’ vero. Ma non è detto che sia una cosa positiva. Credo di non sbagliare se affermo che prima di Gesù la figura del non credente era sostanzialmente sconosciuta in Israele. Esisteva la figura dell’empio, o di colui che, come Giobbe, mette Dio in stato di accusa. Ma si trattava di domandarsi come e chi è Dio, non se c’è Dio o meno. Con Gesù le cose cambiano. In primo piano viene ora la questione della fede. Gesù afferma di essere il Figlio di Dio. E’ vero? E’ falso? Per alcuni è vero, per altri è falso. I primi sono i credenti, i secondi i non credenti. Ora, questa distinzione del tutto nuova porta con sé una nuova violenza. I primi, quelli che credono, saranno i salvati, i secondi saranno i dannati. In altri termini, si ripropone ora la scissione del mondo ebraico. Prima il mondo umano era diviso in puri ed impuri, secondo la legge. Gesù supera questa scissione collocandosi dalla parte degli impuri. Ma propone ora una seconda scissione: quella tra credenti e non credenti. E nei confronti dei secondi si ripresenta tutto l’armamentario violento dell’ebraismo. “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde” (Luca 11, 23).
Che Gesù sia venuto a salvare tutti è semplicemente falso. Il vangelo di Giovanni è chiarissimo: “Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero peccato” (Giovanni 15, 22). La venuta del Cristo rappresenta la salvezza per alcuni, la condanna per altri. Dopo la venuta del Cristo e grazie ad essa, chi doveva essere salvato è stato salvato, chi doveva essere condannato è stato condannato.
Ancora una volta un mondo scisso, spaccato: infelice. Quel mondo infelice che è stato ed è l’occidente
Versetti pericolosi?
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La copertina del libro |
Durante tutta la sua vita, Gesù non ha fatto che attraversare liberamente la linea di confine tra il puro e l'impuro, collocandosi dalla parte degli impuri ed operando in questo modo una trasmutazione dei valori. L'episodio più clamoroso, sul quale Maggi si sofferma ed a cui fa riferimento il titolo del suo libro, è quello della lapidazione dell'adultera. Che, spiega l'autore, doveva essere in realtà una bambina sui dodici anni, poiché non era una donna sposata, ma in attesa di nozze (l'adultera sposata secondo la legge invece andava strangolata). Erano talmente scandalosi, i versetti che raccontano l'assoluzione dell'adultera, che
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