La scuola che verrà
Gli studenti sono i grandi assenti nel dibattito pubblico sulla scuola. Parlano tutti, di scuola; anche, e soprattutto, quelli che mai hanno insegnato: psicologi, pedagogisti, politologi, politici, politicanti. Non sorprende: l’accesso al discorso pubblico è legato allo status sociale, e se gli insegnanti hanno uno status sociale basso – per cui quello che dice un docente con vent’anni di esperienza conta meno dell’ultima uscita d’un Galli della Loggia – gli studenti (e questo è uno dei problemi della nostra società) non esistono quasi, come soggetti degni di parola. Per questo non si può non accogliere con favore le 95 tesi del collettivo studentesco torinese Rinascimento Studentesco per ripensare la scuola italiana post-pandemia.
Considerare gli studenti come interlocutori validi vuol dire anche non far loro sconti. Per questo comincerò l’analisi delle loro tesi con qualche considerazione critica. Cominciando dal numero delle tesi. Comprendo la suggestione di Lutero, ma elencare 95 tesi significa mettere insieme in modo confuso quello che è importante e quello che lo è meno e soprattutto dare l’impressione che si sia aggiunta proposta a proposta, più che discutere e cercare insieme un profilo coerente, sia dal punto di vista pedagogico che dal punto di vista politico. Qualche tesi è banale, qualche altra enuncia principi astratti più che formulare proposte, qualche tesi non è nemmeno una tesi (la 59: perché non metterla alla fine?). La tesi 93 – “Intensificare i controlli su tutti i congedi di cui usufruisce il personale scolastico (malattia, malattia del bambino ecc.)” – asseconda la penosa retorica dei docenti fannulloni, ignorando che dopo la riforma Brunetta il docente nei primi dieci giorni di malattia ha lo stipendio decurtato da ogni trattamento economico accessorio.
E se la scuola neoliberista fosse quella tradizionale?
L’edizione del 27 marzo di The Guardian ha in prima pagina una notizia che sembra venir fuori da un episodio di Black Mirror. Teleperformance, società leader mondiale nel settore dei call center – 380.000 dipendenti in trentaquattro nazioni – monitorerà i suoi dipendenti attraverso particolari webcam che riveleranno eventuali infrazioni nel lavoro domestico. Il lavoratore che avrà bisogno di una breve pausa, ad esempio per andare in bagno, dovrà segnalarlo utilizzando una apposita app.(1)
Se non sarà efficacemente contrastata, questa sorveglianza totalitaria diventerà una delle caratteristiche del lavoro nell’epoca del capitalismo della sorveglianza. La riduzione del lavoratore a strumento digitalmente manovrato fa sistema con la costante manipolazione resa possibile dai big data, che penetrano dove anche il più efficiente dei regimi totalitari era costretto ad arrestarsi: l’immaginario, il desiderio, le aspirazioni, il mondo di dentro. Che è invece ora costantemente esposto, analizzato, profilato e sfruttato commercialmente.
Leggendo la notizia ripensavo a una cosa letta in un gruppo di insegnanti qualche giorno fa. Un insegnante spiegava come monitorare in tempo reale il lavoro degli studenti su Google Classroom, che con Microsoft Office 365 è, grazie a un discutibilissimo sostegno ministeriale, la piattaforma di gran lunga più usata per la didattica a distanza. Controllare gli studenti sembra essere l’ossessione dei docenti che insegnano a distanza. Controllarli mentre seguono le lezioni, controllarli mentre fanno i compiti, controllarli durante le verifiche.
Congedo
La solitudine della scuola
Il tempo della scuola
Solidarietà al maestro Giampiero Monaca
Nella scuola italiana di oggi la risposta alla domanda di Tagore è senz’altro sì. Dobbiamo negare ai bambini il privilegio di salire sull’albero perché noi adulti ne siamo esclusi. Possiamo regalargli giocattoli costosi e tecnologici fin dalla più tenera età, anche se non ne ha bisogno; possiamo comprargli tutto il cibo spazzatura che desidera; possiamo consentirgli di passare la giornata alternando lo schermo del televisore con quello di uno smartphone; possiamo riconoscergli la libertà di accedere ai social network in età sempre più precoce. Ma non possiamo concedergli alcuna libertà di movimento reale. Non nella città: potrà uscire solo se accompagnato, sorvegliato, gestito da qualcuno. Nessuna esplorazione autonoma della città gli è consentita. Meno ancora fuori nella natura. Tutto è dannatamente pericoloso. Ovunque il mondo è pieno di insidie, e noi vogliamo tenere i bambini al sicuro.