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Blog di Antonio Vigilante

I nomi e il Nome

Scrive Tommaso da Celano nella Vita prima che Francesco d'Assisi raccoglieva ogni scritto che trovava, anche se di argomento profano, "riponendolo in luogo sacro o almeno decoroso, nel timore che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo riguardasse". Ed a chi gli chiedeva come mai conservasse con tale religioso rispetto anche i libri dei pagani,rispose: "Figlio mio, perché tutte le lettere possono comporre quel nome santissimo; d'altronde, ogni bene che si trova negli uomini, pagani o no, va riferito a Dio, fonte di qualsiasi bene" (Tommaso da Celano, Vita Prima, XXIX, 462-463, in Fonti Francescane, Edizioni Messaggero - Movimento francescano, Padova-Assisi 1983, p. 475).
Non è forse esagerato affermare che in quest'abitudine del frate di Assisi
si trova uno dei suoi più alti insegnamenti; un insegnamento che ci è necessario quanto il pane e l'acqua.
Si ricorda, come uno degli episodi più luminosi della vita di Francesco, la sua missione tra i saraceni nel pieno di un conflitto di cui ben si conoscono le asprezze e le crudeltà. In realtà non fu una missione di pace. Francesco non andò dal sultano per parlare con lui: andò a predicare. A portarlo nel campo avverso non fu l'intento di cercare un'intesa, un dialogo con il nemico, ma la ricerca del martirio. Leggendo l'episodio nella Leggenda maggiore di Bonaventura da Bagnoregio si è colpiti piuttosto dalla saggezza e dal buon senso del sultano, che rifiuta la prova propostagli dal frate per la conversione del suo popolo - buttarsi nel fuoco -, e lo rimanda dai suoi, non senza avergli prima offerto del denaro da distribuire ai cristiani poveri.

Giustizia e diritti

La giustizia, scrive Simone Weil, consiste "nel vigilare che non sia fatto del male agli uomini" (La persona e il sacro, Adelphi, Milano 2012, p. 47). E "viene fatto del male a un essere umano quando grida interiormente: 'Perché mi viene fatto del male?'".
Il diritto, per Weil, è altra cosa. Esso nasce dalla domanda: "Perché l'altro ha più di me?".
Per Weil bisogna distinguere il grido della giustizia da quello dei diritti: ascoltare il primo e mettere a tacere il secondo "con la minore brutalità possibile, servendosi di un codice, dei tribunali e della polizia" (p. 48). Il che vuol dire che la ricerca dell'uguaglianza, per Weil, dev'essere repressa con la forza dallo Stato.
Ci sono due limiti in questo discorso. Quello più evidente è che mi si fa del male, se le disuguaglianze economiche non mi consentono di vivere una vita degna. Un povero è una vittima, non uno che prova invidia; ed esiste una violenza sistemica che non è meno grave della violenza diretta. Il limite meno evidente è la considerazione del solo essere umano. Anche agli animali viene fatto del male. Anzi, soprattutto a loro. E, se non hanno parola, tuttavia gridano. Non è anche il loro grido un fondamento della giustizia?
(Solita compresenza, nelle pagine di Weil, di idiozie e di cose sublimi. In questo stesso libretto ci sono cose esatte sulla dimensione transpersonale del bene.)

L'educazione è pace


E' uscito il mio libro L'educazione è pace. Scritti per una pedagogia nonviolenta (Edizioni del Rosone), con una presentazione di Paolo Vittoria, che è anche il direttore della nuova collana Praxis, in cui il libro compare.
Dalla quarta di copertina:
"L’unico modo per favorire il sorgere di future generazioni di persone giuste, vere, democratiche è quello di creare per loro fin d’ora situazioni che siano libere dall’intossicazione del falso, dalla competizione egoistica, dall’ipocrisia, dalla sopraffazione. Gran parte dell’educazione consiste nel far entrare aria pulita – moralmente, intellettualmente pulita – nelle situazioni umane."

Glasperlenspiel #1

"Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace, necessariamente desideri il più che puoi la felicità propria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu non possi fuggire per nessun verso di non essere infelice."
Giacomo Leopardi, Dialogo di Malambruno e Farfarello, in Operette Morali.

"Analogamente, o monaci, tutto ciò che non è vostro abbandonatelo. Quando lo avrete abbandonato, ciò sarà per voi di vantaggio e felicità per lungo tempo. E cosa non è vostro? La forma materiale non è vostra... La sensazione non è vostra... La percezione non è vostra... Le formazioni non sono vostre... La coscienza non è vostra. Quando avrete abbandonato tutto ciò, ne riceverete vantaggio e felicità per lungo tempo."
Alagaddupamasutta, in La rivelazione del Buddha, vol. I, Mondadori, Milano 2001, p. 248.

"Ma questo come può avvenire?
Elimina ogni cosa."
Plotino, Enneadi, V, 3, 17, trad. G. Faggin, Rusconi, Milano 1992, p. 855.

Il culto paradossale della croce

L'Adam era in principio presso Dio, nel paradiso. Il suo peccato è consistito nel mangiare dall'albero del bene e del male. Sono propenso a credere che il peccato non sia consistito nell'aver disubbidito, ma semplicemente nell'atto in sé. Dio, cioè, non minaccia, ma avverte riguardo alle conseguenze di un atto in seguito al quale le cose non saranno più come prima.
Ora, cosa cambia? La conoscenza del bene e del male è esattamente ciò che rende possibile la conoscenza di Dio. Poiché Dio è Bene, è impossibile conoscere Dio senza distinguere il bene dal male. L'atto dell'Adam è dunque ciò che rende possibile il culto di Dio. Ed è questo il peccato. Nel momento in cui l'Adam vede Dio come buono e gli rende culto, il paradiso dell'unità è perso. E comincia la storia.
Morendo sulla croce, Dio si sottrae come Dio-Buono, ossia come Dio tout court. Cerca di porre fine alla caduta dell'uomo distruggendosi come Dio, morendo come Dio: aprendo l'epoca dell'ateismo, ossia dell'essere-in-Dio che rende impossibile ogni culto di Dio. Ma le tenebre, dice Giovanni, non hanno accolto la luce. Ed è cominciata l'epoca del nuovo culto. Il culto, paradossale, della croce, ossia del Dio che è morto. 

Abilitazione

"Il candidato presenta un numero adeguato di monografie originali e organiche. La sua produzione scientifica si occupa principalmente della tradizione del pensiero non violento di ispirazione religiosa nella realtà italiana del XX secolo. In particolare il candidato si è occupato del pensiero e dell'opera di Danilo Dolci e di Aldo Capitini cui ha dedidato due monografie informate e esaustive, in particolare la prima che presenta, accanto ad una ricostruzione storica accurata, una seconda parte interamente dedicata al concetto di maieutica elaborato da Danilo Dolci con chiari riferimenti filosofici al pensiero di Socrate. Inoltre ha preso in esame l'opera del fondatore del pensiero e della pratica della non violenza nel Novecento, il Mahatma Gandhi, con una monografia approfondita e interessante. Presenta altresì traduzioni da Kropoktin e altri interventi su questioni legate alla pratica della non violenza. Il profilo del candidato risulta coerente con i criteri stabiliti dalla commissione nella seduta di insediamento. La commissione dichiara a maggioranza il candidato abilitato alla II fascia di insegnamento di Filosofia Morale."