At

Blog di Antonio Vigilante

Elogio della dismorfofobia

"Timore ossessivo d'essere o di diventare brutti, asimmetrici, deformi. Colpisce quasi esclusivamente giovinette di fattezze belle e regolarissime", dice l'Enciclopedia Treccani. La parola viene dal greco: paura del brutto. Dismorfofobia. A dire il vero, più che di bruttezza in senso stretto si tratta di una difficoltà di venire a patti con la propria immagine. Non riconoscersi, e per questo, sì, trovarsi brutti. Non so quanto sia vera l'affermazione che il problema colpisce quasi esclusivamente belle ragazze. Non vedo per quale ragione dovrebbe soffrirne una ragazza bella più di una poco bella. E soprattutto perché dovrebbe soffrirne una donna più di un uomo. In ogni caso, chi scrive è dismorfofobico.
Ora, la cosa ha indubbiamente i suoi lati imbarazzanti, difficili o dolorosi. Il rinnovo periodico della carta d'identità, per dire, è un passaggio talmente impegnativo che dopo averlo superato si comincia a pensare con ansia al prossimo rinnovo, tra dieci anni. Ed ogni esibizione di un documento è una fitta al cuore. "Per ottenere il rimborso la preghiamo di compilare il modulo allegato e di rimandarcelo con copia del documento di identità." Ma perché? Tenetevi pure il rimborso, grazie. Ma può essere perfino un problema guardarsi allo specchio al mattino. Soprattutto quando non si tratta del tuo specchio, che ti è diventato in qualche modo familiare, amico nella sua ostilità. Gli specchi degli alberghi - freddi, ostili, pronti a cogliere ogni particolare della tua estraneità a te stesso, capaci di restituirti le prove della tua alienazione con asettica ferocia - diventano prove iniziatiche. Come i finestrini del treno quando scende la notte.

La Chiesa omertosa

E' stato condannato dalla corte d'Appello di Bari a vent'anni di carcere Gianni Trotta. Da sacerdote, ha violentato nove bambini, approfittando della sua condizione di sacerdote e di allenatore di una squadra di calcio in due paesini del Foggiano. Non si limitava alle violenze, don Gianni: gli atti venivano filmati e divulgati in Internet; a casa sua gli investigatori hanno trovato un vero centro di produzione di materiale pedopornografico. "La cosa più orribile che mi era mai capitata di vedere", dice un investigatore.
Don Gianni, il delinquente, il pedofilo don Gianni, non è in realtà più don. La Chiesa lo ha ridotto allo stato laicale nel 2012, un provvedimento grave dal punto di vista religioso, che tuttavia ha lasciato libero un pedofilo. Perché l'uomo non è stato denunciato. La Chiesa locale sapeva che Trotta era un pedofilo, sapeva che avrebbe continuato a fare cose gravissime, sapeva che avrebbe distrutto la vita di bambini innocenti: ed ha taciuto. E l'uomo ha continuato a violentare altri bambini. La Chiesa avrebbe potuto salvarli; ha preferito salvare sé stessa. L'ex sacerdote passerà in carcere gran parte di quel che resta della sua vita. Gli altri, quelli che sapevano ed hanno preferito tacere, continueranno invece a pontificare sul bene e sul male, a considerarsi guide e pastori di anime, a riempirsi la bocca di Dio e Gesù Cristo e di Vangelo. Tanto le gente dimentica presto. Il sacerdote pedofilo - l'ennesimo - non fa notizia, non finisce sulle prime pagine dei giornali, e nonostante l'evidenza di un fenomeno sociale pericoloso e pervasivo, non crea allarme.

I migranti e il silenzio della politica

Fa sorridere (amaramente) l'ingenuità mostrata dai lavoratori migranti che il 6 maggio manifestavano a Foggia per la dignità e i diritti: in uno dei loro cartelli si rivolgevano al sindaco Landella per chiedergli giustizia per il giovane gambiano morto nell'incendio della sua baracca di legno e lamiera. Avranno pensato che il sindaco è, come tale, il capo di una comunità, ed il capo di una comunità non può disinteressarsi delle violazioni dei diritti elementari che accadono nella sua città. Da Landella, naturalmente, solo silenzio. Ma null'altro che silenzio giunge anche dal principale sfidante di Landella, Pippo Cavaliere. Guardo e riguardo la sua pagina Facebook, che in campagna elettorale è per ogni candidato ormai il principale strumento di propaganda, ma nulla. Non una sola parola, non un link. Per il candidato di sinistra alle elezioni la manifestazione di centinaia di migranti semplicemente non è mai avvenuta. Né mi pare che altri si siano espressi.
Posso comprenderli. L'Italia è ormai un paese in cui il razzismo ha messo solide radici, e Foggia è anche più razzista della media italiana, benché abbia un numero di migranti decisamente inferiore alle città del centro-nord. Sotto elezioni è meglio non compromettersi con questa gente, si rischia di perdere voti. Ma a non compromettersi si rischia qualcosa di peggio: di vincere, ma di non differenziarsi affatto dall'avversario. Di essere diventati di destra, nel tentativo di sconfiggere la destra.

Il fenomeno Soccio

Conobbi Pasquale Soccio a metà degli anni Novanta. Mi portò da lui Franco Marasca, con la sua guida che aveva per me qualcosa di misterioso: l'utilitaria faticava, sbandava, a momenti urtava qualcosa, ma riusciva sempre in qualche modo a giungere a destinazione senza danni. Premise: "E' un burbero benefico". Mi parve piuttosto un San Girolamo, quest'uomo scavato dagli anni, cieco, ascetico, seduto ieraticamente nel suo studio dominato da un enorme tavolo ingombro di libri. Ad una parete un quadro di Giuseppe Ar che lo ritraeva da giovane. Mi sottopose a un fuoco di fila di domande; solo dopo compresi che si trattava di un esame, e che l'avevo passato. Soccio aveva bisogno di qualcuno che gli leggesse libri e giornali, che parlasse un po' con lui e lo aiutasse a scrivere un libro di filosofia cui pareva tenere molto. Io ero alla ricerca d'un lavoro. E la paga non era granché, ma quando sei disoccupato - e io lo ero - guadagnare qualcosa è meglio che non guadagnare nulla.
Per un po', dunque, ho fatto questo di lavoro - fino a quando la vecchiaia ha avuto la meglio, e l'ha ricacciato nella natia San Marco in Lamis, affidato alle premure della famiglia ed al calore di quello che fu il grembo materno. L'ho visto letteralmente rimpicciolirsi, farsi quasi bimbo nella sua culla, prima della liberazione.