Blog di Antonio Vigilante

3 gennaio, sabato

Nell'autobus. Due ragazzine sui vent'anni, sedute di fronte ad una vecchia. Una delle due le rivolge la parola: "Signora, che bella quella sciarpa". La signora ha una sciarpa orribile con tutti i colori dell'arcobaleno. "Ah, grazie". "Dove l'ha comprata?". "Al mercato del mercoledì". E cominciano la conversazione. Che strano, penso: una ragazzina parla con una vecchia. Perché? Ipotizzo: magari vuol fare pratica dell'italiano (ha un marcato accento inglese). Poi mi correggo: ma certo, sarà dei mormoni, sta cercando nuovi adepti. Ma no - dice una parte di me o un altro io in me o un ha-shatan interiore - sei troppo cinico e vedi il male ovunque. Metto a tacere il foro interiore, che comincia ad essere affollato, concentrandomi su due ragazze ed una bambina che parlano albanese. Cerco di capire cosa si dicono, ma la mia conoscenza dell'albanese non è granché. Riconosco solo il bukur che la bambina ripete più volte. Bukur: bello. Guardo un po' fuori dal finestrino la campagna senese. Già, bello. Bukur, shumë bukur. Finché, per quel singolare meccanismo che ci porta a fare attenzione alle cose per noi significative anche quando stiamo pensando ad altro, colgo l'espressione "chiesa mormone". La ragazza ha scoperto le carte, e sta spiegando alla vecchina che la loro chiesa si trova in un certo posto, dopo averle lasciato degli opuscoli.
Giunge la loro fermata. Le due ragazze (solo ora vedo che hanno sul petto un tesserino della chiesa) mandano baci alla vecchina ed escono in fretta, con l'espressione di chi ha appena compiuto una rapina. La vecchia, fino ad un attimo prima sorridente, ha ora il viso stanco. Sembra affranta, per un attimo ho l'impressione che stia per avere un attacco di panico. Si toglie il cappello di lana, respira. Tutto torna normale. Normale.
Normale: che qualcuno rivolga la parola ad un estraneo solo per usarlo; questo, nella nostra società, è normale. Rivolgere la parola ad un estraneo solo per parlare con lui, senza alcun altro fine, penso, sarebbe una cosa davvero rivoluzionaria. Chiedere della sciarpa, e dei figli, e di tutto quanto il resto, solo per conoscere, per stringere legami, per gettare ponti oltre le mura del nostro io. Ma, ecco, se lo facessimo, pure useremmo l'altro: ci servirebbe per fare la rivoluzione. E il mondo torna a sembrarmi un groviglio, mentre salto giù dall'autobus e mi avvio verso casa.