At

Blog di Antonio Vigilante

"Mattinata era una farfalla". Una storia di vita

Il centro storico di Mattinata
(http://www.garganowebtravel.com)
Nelle scienze umane le storie di vita sono uno strumento fondamentale per indagare a fondo il cambiamento sociale. Come è cambiata nel tempo la vita delle persone? Quali erano i valori condivisi qualche decennio fa? Quali le condizioni di vita? In che modo la vita dei singoli si lega ai grandi eventi storici? Per rispondere a queste e ad altre domande si può chiedere alle persone anziane di raccontare semplicemente la propria vita, con un tipo di intervista che lascia grande libertà all’intervistato, con domande che servono solo a stimolare il racconto ed a far sì che non tralasci punti importanti.
Poiché queste storie di vita sono anche un modo per ascoltare la voce degli anziani, che nel nostro mondo si avverte sempre più debolmente, ho spesso proposto ai miei studenti del liceo “Roncalli” di Manfredonia di intervistare i loro nonni, nell’ambito del corso di Metodologia della ricerca. Il risultato è spesso una narrazione di grande interesse, anche piacevole da leggere, uno spiraglio su un passato che è dietro l’angolo, ma che sembra dimenticato. Dopo il boom economico il nostro paese ha rimosso letteralmente il suo vissuto di povertà, di sofferenza, di emigrazione; gli anziani sono diventati dei testimoni scomodi di un mondo con cui non vogliamo più avere a che fare.

Qui di seguito propongo una di queste narrazioni. Si tratta della storia di vita di Lorenzo di Mauro, nato a Mattinata nel 1934. Ad intervistarlo la nipote Giusy Bisceglia.

Puoi parlare dei primi ricordi, l’infanzia, la famiglia, i giochi, la scuola…?
Non esistevano… Non gioco e no niente… Che gioco dovevamo avere prima? Che ci stava? Non ci stava niente. Non ci stava manco la sedia.

La scuola non l’hai frequentata?
Un anno e mezzo di scuola ho fatto. Il motivo perché è morto mio padre. Mio padre è morto a trentun anni, io non ho potuto andare a scuola per motivi di soldi, che non ci stava la lira, non ci stava niente, mia madre era sola, perciò non ho potuto andare a scuola, sono stato sotto a un padrone a lavorare, perciò ho dovuto rifiutare la scuola per andare a lavorare, perché non c’era niente da mangiare, non avevo dei genitori, mia madre era sola, e mia madre per darci a mangiare a noi andare a lavare della roba per guadagnare qualcosa.

Il diavolo e le fratture dell'occidente

Il diavolo come caprone
(F. M. Guaccio, Compendium maleficarum, 1626)
“Solo il cristianesimo ha dipinto il diavolo sulla parete del mondo; solo il cristianesimo ha portato il peccato nel mondo”, scriveva Nietzsche in Umano, troppo umano (1). E' vero. L'oriente conosce una gran quantità di demoni, ma inutilmente si cercherebbe una figura paragonabile a quella del diavolo. Il negativo non rappresenta l'anti-divinità, ma è incorporato nel divino: è così che ad esempio Shiva può essere al tempo stesso il distruttore di mondi e il dispensatore di felicità, l'asceta per eccellenza e il dio che si venera attraverso il fallo (linga).
Perché l'occidente ha bisogno del diavolo? Perché è diabolico esso stesso. Diavolo deriva dal greco dia-ballein, separare, dividere (che è il contrario di synballein, unire, da cui simbolo). Il diavolo è dunque colui che divide, che crea separazioni, fratture, inimicizie, in primo luogo frapponendosi tra l'uomo e Dio, poi mettendo l'uno contro l'altro gli stessi esseri umani. Ma possiamo dare un'altra interpretazione: il diavolo come colui che è stato separato, diviso, emarginato. La considerazione della figura del diavolo nella cultura occidentale offre più di qualche appiglio per questa interpretazione. Nell'iconografia, il diavolo è in primo luogo rappresentato con dei tratti animaleschi, quali le corna ed il piede caprino. Il diavolo ha dunque un rapporto con l'animale. Ora, l'animale è per eccellenza ciò che l'occidente ha separato dall'umano. Nella visione del mondo giudaico-cristiana l'uomo è separato dal resto del creato, che è chiamato a dominare, poiché è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio. Vero è che in Qohelet si legge che “la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti” (3, 19), ma si tratta di una posizione assolutamente isolata nel contesto delle Scritture, che al contrario esaltano la dignità dell'uomo ed il suo destino di salvezza. Gli esseri umani hanno un'anima e sono chiamati alla vita ultraterrena, gli animali no.

Contro la filosofia del mattatoio

F. Pullia, Al punto di arrivo comune,
Mimesis, Udine 2012
Nella seconda metà degli anni Trenta un giovane di Perugia si interrogò sulle possibilità di una opposizione radicale al Regime fascista. Il fascismo – così ragionava – è un sistema politico che si regge su una visione del mondo. In cosa consiste questa visione? In quello che potremmo definire esclusivismo vitalista, vale a dire nella esaltazione di alcuni valori vitali (la giovinezza, l'esuberanza, la forza e la violenza) e nel considerare inferiori coloro che sono privi di questi valori – nel disprezzare il debole, il malato, il portatore di handicap. Per contrastare il fascismo bisogna allora pensare al contrario, portarsi dalla parte degli ultimi e dei deboli, cercare valori opposti a quelli vitalistici. E' quello che Aldo Capitini (così si chiamava quel giovane) farà per tutta la vita, giungendo ad elaborare una teoria della nonviolenza che è, con ogni probabilità, la più filosoficamente profonda che sia mai stata pensata. Intanto fa subito una scelta pratica: se il fascismo esalta la violenza del più forte sul più debole, lui sceglierà di rispettare ogni forma di vita. Per questo diventa vegetariano, in anni in cui essere vegetariani era considerato una bizzarria assoluta. Gli stessi amici antifascisti vedevano in ciò una sua stranezza, più che una scelta coerente.
L'eredità politica di Capitini è stata raccolta dal Movimento Nonviolento, da lui fondato nel 1961. Dal punto di vista filosofico, tuttavia, non si può dire che abbia molti continuatori. Tra i pochi, occorre annoverare Francesco Pullia, filosofo animalista che del complesso pensiero capitiniano (che comprende anche una teoria del “potere di tutti”) ha ripreso l'aspetto dell'apertura ad ogni essere vivente. In Dimenticare Cartesio. Ecosofia per la compresenza (Mimesis, Udine 2010) Pullia analizzava quella tradizione filosofica che, partendo appunto da Cartesio, nega ogni valore alla vita non umana ed afferma la rigida separazione tra mondo umano e mondo animale. Per il filosofo francese gli animali non erano che automi, macchine prive di vita, di pensiero, di emozioni, come tali liberamente sacrificabili. E' una convinzione che non si ritrova solo nella filosofia: anche la tradizione religiosa occidentale ha negato qualsiasi valore agli esseri non umani, rimarcano il legame tra uomo e Dio e la sua differenza da ogni altro vivente e dalla natura, che è chiamato a dominare. E se oggi la Chiesa parla di sacralità della vita, è chiaro che si tratta di sacralità della vita umana, mentre tutti gli altri esseri viventi restano privi di un valore intrinseco.

Esordio

Papa Francesco 
Habemus papam, dunque. Per gli uni, il papa della povertà, dell'umiltà, dell'amore per i poveri. Per gli altri, il papa che è stato connivente con la feroce dittatura di Videla, corresponsabile della tragedia dei desaparecidos. Con ogni probabilità la querelle andrà avanti per tutto il suo pontificato, ed ognuno resterà sulle sue posizioni, poiché non c'è evidenza che possa impedire ad un cattolico di credere nel suo papa - e ancora oggi un cattolico è in grado di sostenere, non necessariamente in cattiva fede, che Giovanni Paolo II andò da Pinochet perché è compito di ogni bravo cristiano accogliere chi sbaglia.
Che papa sarà, dal punto di vista non dell'immagine mediatica, ma della teologia e del magistero? Le prima parole dell'omelia pronunciata oggi durante la messa con i cardinali non lasciano ben sperare:

Un razzista a 5 stelle*

Alcuni militanti del Movimento 5 Stelle di Foggia hanno denunciato, con un video, le disastrose condizioni igieniche del campo Rom di Arpinova, nel quale vivono anche otto famiglie foggiane.
In seguito alla denuncia, il sindaco ha annunciato sulla sua pagina Facebook un intervento di pulizia straordinaria:

Come era prevedibile, in una città in cui razzismo ha solide basi, si scatena la protesta dei bravi cittadini per quei soldi impiegati per i Rom, mentre ci sono ben altre priorità.
Tra gli altri, si distingue questo tizio:

Thay

Thich Nhat Hanh con Martin Luther King
“In qualità di Premio Nobel per la Pace per l'anno 1964, ho il piacere di proporvi il nome di Thich Nhat Hanh per il premio del 1967. Non conosco personalmente nessuno che sia maggiormente meritevole del Premio Nobel per la Pace di questo gentile monaco buddhista del Vietnam”.
Così scrive il 24 gennaio 1967, in una lettera indirizzata al comitato per il Premio Nobel, Martin Luther King, il leader nonviolento dei diritti civili, che sarà ucciso a Memphis l'anno successivo. La proposta non fu accolta: nel 1967 il premio Nobel per la pace non è stato assegnato propri a causa della guerra in Vietnam. Oggi, a distanza di più di quarantacinque anni, la proposta viene ripresa da diversi gruppi in rete, che raccolgono firme per una petizione all'Istituto Nobel.
Ma chi è Thich Nhat Hanh? Un monaco minuto, dai modi estremamente gentili, che riesce con la sua sola presenza a trasmettere un senso di pace e di nobiltà spirituale. Non bisogna lasciarsi tuttavia ingannare dalla semplicità dei modi e dalla modestia della persona: quel piccolo monaco è anche una delle menti migliori del buddhismo contemporaneo, un filosofo che è riuscito a ripensare la millenaria tradizione di pensiero del dharma adattandolo alle esigenze del mondo attuale, un poeta sensibile, un delicato calligrafo. E', soprattutto, l'uomo capace di attraversare la frontiera per andare a parlare con il nemico, ed insegnargli che non esistono nemici. Durante la guerra nel suo paese Nhat Hanh (semplicemente Thay, maestro, per i suoi discepoli) ha creato la School of Youth Social Service, una rete di attivisti nonviolenti dediti alla ricostruzione dei villaggi distrutti dalla guerra. La sua attività di sostegno sociale, che si poneva al di fuori degli schieramenti in guerra, gli costò l'esilio. Da anni vive in Francia, dove ha creato l'Ordine Tiep Hien (in italiano: Ordine dell'Interessere) e fondato presso Bordeaux Plum Village, un complesso di sette villaggi che accoglie monaci e laici che vogliano dedicarsi alla meditazione.

Beppe Grillo, il parresiaste

Beppe Grillo
Non occorre essere dei fini politologi per capire le ragioni della vittoria di Beppe Grillo: basta chiederlo a chi l'ha votato. Perché chi ha votato Grillo, a differenza di chi ha votato Berlusconi, non si nasconde; al contrario: sembra orgoglioso della sua scelta. E chiedete, dunque: perché avete votato per Grillo? Io ho ricevuto il più delle volte una risposta di questo tipo: "perché Grillo è uno che dice le cose come stanno". Beppe Grillo è il comico che, dopo aver fatto ridere come tanti altri comici, ha cominciato a diventare scomodo, ed è stato espulso dal sistema. Anche se è scomparso dagli schermi televisivi, la gente si è ricordata di quel comico lì, quello che dava fastidio. Ed ora si è accorta di aver bisogno di lui. Perché? I Greci avevano il concetto di parresia, la capacità di dire la verità, di esprimersi liberamente di fronte al potere, che consideravano essenziale per la democrazia. Il concetto è presente anche nel Nuovo Testamento, quale franchezza nell'annuncio del Vangelo da parte degli apostoli, anche a costo della persecuzione. Mi pare che si possa interpretare in questo modo l'esito delle ultime elezioni. Gli italiani, estenuati da un potere che si è alimentato e sostenuto con la dissimulazione, l'inganno, la segretezza, la distorsione sistematica della verità, hanno scelto la figura del parresiaste, del comico scomodo che dice al re che è nudo. Il fatto che sia un comico è un punto a suo favore: è estraneo al mondo politico, considerato una casta indistinta che persegue scopi comuni, al di là delle differenze di ideologia e di bandiera. E' vero che un leader politico rappresenta sempre una proiezione, l'incarnazione di un ideale umano condiviso. Mandando al potere Berlusconi, gli italiani hanno dato forma ad una delle loro anime - quella lazzarona, furba, cialtrona, maschilista, sostanzialmente mafiosa. Se la mia analisi non è errata, Grillo incarna il contrario: colui che si oppone al potere in nome della verità, e dunque esprime istanze ideali ed etiche (ed anche, certo, la rabbia trattenuta troppo a lungo contro il triste spettacolo della politica, il vaffanculo liberatorio indirizzato tanto alla destra quanto alla sinistra).